Fiorenzo Valbonesi è un architetto.
Ma la parola architetto non ha bisogno di aggiunte, di soccorsi. Si deve essere architetto e basta. Senza aggiunte.
“E credetemi essere “architetto” basta. Basta eccome”: questo quanto scrive l’architetto Filippo Bricolo.
Continua: “Penso che se oggi si volesse aggiungere al vocabolario un sinonimo di architetto, basterebbe scrivere Fiorenzo Valbonesi.
Nei numeri, il suo percorso professionale:
44 anni di attività |
22 anni di progettazione nel mondo del vino |
10 cantine realizzate
(Campodelsole, Castello della Sala, Monte delle Vigne, Spinelli, Tormaresca, Prato al pozzo, Nuova tenuta Paradiso, Randivini, Cantina de Il Bruciato, Amaracmand) |
9 cantine in corso di progettazione |
4 cantine in corso di realizzazione |
10 concept e/o progetti non realizzati |
2 stands al Vinitaly |
1 sala di degustazione all’interno di una cantina esistente |
Cosa l’ha spinta a dedicare una buona parte della sua professione alla “casa del vino”, ovvero alla cantina?
“Va dove ti porta il cuore” citando il libro di Susanna Tamaro è la sintesi del mio percorso nel mondo vitivinicolo. Mi si chiederà perché il cuore, ma per poter progettare la mia prima cantina e tutte quelle che sono venute dopo con slancio e sentimento – e non con il copia/incolla che è di moda in questi anni – ci vuole cuore, amore per quello che si fa e per il tema su cui si lavora.
Per progettare la prima e tutte le altre cantine ho sempre cominciato e comincio tuttora col fare una serie di domande all’Enologo, essendo il suo un ruolo centrale, subito dopo alla Committenza, relativamente al processo condiviso di ideazione della struttura e del fluire dei percorsi all’interno della stessa.
Ho imparato ben presto che molte erano le variabili a cui il mio lavoro sarebbe andato soggetto, in quanto ad ogni domanda la risposta era: dipende. Dipende dal tipo di vitigno, dipende dalla sua esposizione, dal tempo di permanenza in serbatoio, dal tipo di serbatoio e dal periodo di permanenza all’interno della cantina, dipende dal tipo di vino che si intende fare, dipende dal farlo in purezza o dalla cuvée che si intende creare, dipende, dipende, dipende…
Tutte queste variabili mi affascinavano e mi affascinano tuttora. Non ho mai smesso di chiedere ad ogni singolo enologo che ho incontrato la sua opinione su un tema, pur avendolo già affrontato con altri, ottenendo risposte a volte collimanti a volte discordanti ma, per me, sempre entusiasmanti.
Chi l’ha ispirata? E nel mondo del vino?
Nel mondo dell’architettura, un Architetto contemporaneo ancora vivente, Giovanni Bo, di Asti; un altro, non più in vita, Ilario Fioravanti di Cesena e tra i grandi del 900, Alvar Aalto. Mi si chiederà cosa centrino queste tre figure professionali con i lavori che ho svolto.
L’amore che ho per l’architetto finlandese Aalto è simile ad un innamoramento adolescenziale, irraggiungibile ed eterno, non da copiare per stilemi o forme assonanti, ma per l’equilibrio e l’armonia delle sue architetture.
Ilario Fioravanti, classe 1922, come quella di mio padre, è stato un architetto combattuto tra la fede e l’illuminismo, innamorato della vita, della natura, della materia, della luce e dell’uomo.
Giovanni Bo l’ho conosciuto prima attraverso le sue opere, Cantina Ca’ Marcanda a Bolgheri, Cantina Santa Restituta a Montalcino, Cantina a Barbaresco e poi personalmente; Architetto schivo e riservato in un mondo oggi affollato di like e del bisogno di conferme. Purezza è la sua connotazione: puro nel sogno, puro nell’ideazione, puro nei rapporti e per me maestro di vita. L’Architettura è stata e sarà la sua vita, avendo piegato a questa i dolci affetti che lo hanno assecondato, in continua ed assidua ricerca di una perfezione che a noi umani non è data raggiungere.
Nel mondo del vino gli Enologi, primi fra tutti in ordine temporale, Franco Calini e Paolo Caciorgna con i quali subii il battesimo del fuoco, o meglio del vino.
Per cominciare da qualche parte chiesi cosa avrei dovuto studiare o vedere e Franco mi consigliò, fra le altre cose, dì andare a Bordeaux al Vinitech per vedere un po’ di attrezzature e prendere dimestichezza con ingombri e dimensioni.
Mi chiese se volevo aggiungermi a lui e un altro amico enologo ed io non tentennai un secondo; in breve ero a guidare la mia autovettura alla volta dì Bordeaux a cercare di seguire i loro ragionamenti e confronti su polifenoli, pirazine, tannini, antociani e profumi primari e terziari…non ne capii nulla ma ormai ne ero dentro e da allora mi è stato pressoché impossibile uscirne.
Dopo di loro incontrai il dott. Renzo Cotarella, Amministratore Delegato, agronomo e responsabile enologico per la famiglia Antinori, con la quale ho il piacere di lavorare dal 2003. Durante il nostro primo incontro, il dott. Cotarella mi disse, puntando lo sguardo nei miei occhi: “Si ricordi bene che chi decide come si fa il vino siamo noi e non voi architetti. Troppe volte ho visto errori in cantine per scelte volute dagli architetti. Noi e solo noi sappiamo cosa ci necessita, a voi non resta altro che vestire il layout e chiederne l’approvazione alla proprietà”. Lezione più netta non mi poteva essere servita.
Certamente è stato un insegnamento che non ho mai disatteso in nessun progetto, il vino e chi lo produce sono e rimarranno al centro del mio lavoro di progettista di cantine.
Altra influenza sono stati gli altri enologi e committenti che ho avuto modo di conoscere durante un progetto, oppure semplicemente davanti ad un bicchiere di vino per discutere di ipotesi meta-progettuali.
Quanto il processo produttivo incide sul know how dell’Architetto e quando decide di assumere un incarico?
Penso sinceramente che non sia la dimensione planimetrica e il relativo costo a farmi propendere verso un incarico anziché un altro di minori dimensioni, e neppure la complessità tecnologica in antitesi alla semplicità; ogni lavoro fa storia a sé e non può nè deve essere messo in confronto con altri.
Lavori complessissimi si sono svolti con serenità e portati a compimento con normale impegno e sacrificio ed altri molto più semplici sono diventati un inferno per i più disparati motivi.
Onestamente non so quanto i miei colleghi conoscano o sappiano del mondo del vino, ma va da sé che ognuno di noi non nasce con la scienza infusa e che per provare a capire qualcosa è necessario studiare.
Durante i miei vent’anni nel mondo del vino ho visitato almeno un centinaio dì cantine e partecipato a manifestazioni vitivinicole tra le più disparate, ossessionato dalla voglia di sapere e dal dubbio che ne consegue, e questo binomio lo porto con me – ancora una volta – ossessionato dalla migliore soluzione architettonica possibile per quel luogo, con la consapevolezza che si può sempre fare ancora meglio.
È vero che per essere più performante nelle scelte tecniche avevi deciso di portare avanti una laurea in Enologia?
Sì, mi ero interessato e avevo chiesto quanti esami del mio percorso di laurea mi sarebbero stati abbonati, ma, indipendentemente da questo, un enologo che stimo moltissimo mi disse che l’amore per il vino avrebbe perso il fascino che esercitava in me togliendogli forse anche un po’ del suo mistero, e che la conoscenza chimico-fisica avrebbe ridotto, almeno in parte, il sogno.
Non ho dato seguito a questo desiderio e non lo darò.
Quanto l’essere inserito all’interno del substrato culturale del mondo del vino, il fatto di conoscere perfettamente la materia nelle sfumature tecniche di degustazione, ha portato Valbonesi ad essere Valbonesi?
Certamente degustare con persone che il vino lo fanno è un plus non concesso a tutti. Questo mi ha permesso di degustare vini italiani in lungo eß in largo, e occasionalmente vini francesi, tedeschi, austriaci e spagnoli; raramente quelli delle altre parti del mondo.
Ossessione e dubbio. Chi conosce Valbonesi sa che sono il sale della sua vita e questo sale è la sua vita.
In Architettura, e penso per tutte le discipline, i mestieri e le professioni, l’ossessione è condizione fondamentale per la ricerca. Ma questa non può ritenersi completa se non si aggiunge il dubbio. É il dubbio l’elemento che permette il superamento delle posizioni e/o delle opinioni raggiunte.
Quanto uno storytelling è importante per raccontare quello che il tecnicismo di questo mestiere presuppone?
Certamente tutto quello che ho imparato del e nel mondo del vino – dalle sue sfumature al naso, nella bocca, nel profumo del mosto nei serbatoi, nel colore e sapore dell’uva nel campo – l’ho imparato grazie a persone che con sincerità e pazienza me lo hanno raccontato.
Penso che la tecnica di cantina sia come la penna per lo scrittore, un mezzo per raccontare una terra, un vitigno. Lascio ad altri meglio attrezzati di me il raccontare un vino, un paesaggio e una sua simbiosi con il cibo.
L’Architettura può raccogliere le vibrazioni di un luogo, di una luce, di un’ombra o di un sogno e trasformarlo in spazio di lavoro, di mistero e di fascino.
Se ci riesce, l’Architetto ha compiuto il proprio dovere di connettere tutti questi dati ed emozioni e convogliarli in un luogo.
Cosa vuole portare per la migliore costruzione della società del vino?
Posso solo portare la mia conoscenza e metterla al servizio di tutti, in qualsiasi sede ed in qualsiasi luogo. Con questa mia conoscenza sia della tecnologia del fare vino che quella del progettare e costruire, spero di veicolare la mia visione e idea di società. Qualità: qualità in Urbanistica, qualità in Architettura, qualità nel paesaggio e negli spazi comuni, qualità nei servizi, qualità in quello che mangiamo e beviamo, qualità nella vita.
Penso che riuscendo a fare sistema fra persone che fanno qualità, o almeno ci provano, per traguardare la qualità del “tutto”, il futuro possa essere migliore per tutti noi.
Qual è la cantina dei suoi sogni? Cosa deve avere per essere quella che il mondo vorrebbe?
La cantina dei miei sogni è quella che ancora non ho realizzato. È quella che spero di fare, un ambiente in armonia con il paesaggio circostante, un luogo dove le maestranze lavorino con grande piacevolezza e in sicurezza, energicamente autosufficiente e di conseguenza ad impatto zero. Una cantina bella, dove si produrrà un vino che farà sognare.
In poche parole: bellezza al quadrato!
Oltre agli enologi, colui che non va trascurato assolutamente è il Committente; è lui il vero motore e cardano di trasmissione. Lui sogna, investe, chiede e desidera che la cantina racconti, sia nel vino che nella costruzione, il suo sogno.
Noi architetti non siamo altro che gli scenografi di un probabile futuro.