Per inaugurare con le migliori speranze l’anno 2021, abbiamo fatto due chiacchiere con l’iconico Giovanni Puiatti.
Il Signor Puiatti non necessita certo di presentazioni, è un assoluto veterano nell’ambiente del vino, ma soprattutto è un personaggio capace di accoglierti nel suo mondo e di comunicarti la sua visione con un carisma unico nel suo genere.
Com’è ben noto, la sua produzione si colloca nel Collio goriziano e, piuttosto recentemente, ha subito un cambio volto mantenendo comunque saldi i principi a cui era legata.
“Abbiamo solo bisogno di essere autentici”
Caro sig. Puiatti, tralasciando l’attuale situazione emergenziale, cosa ne pensa del mondo del vino in questo momento, ci sono realtà che la incuriosiscono e che giudica positivamente e, al contrario, ci sono avvenimenti legati al mondo del vino che abolirebbe?
“Tra le novità, le uniche cose positive che sento, riguardano il boom dell’e-commerce e della grande distribuzione che rappresentano buoni mezzi per fornire supporto alle aziende. Tuttavia, io non sono l’interlocutore adatto per parlare di queste cose, perché non me ne servo in prima persona. Infatti, quando ero marchio Puiatti e facevo 900.000 bottiglie avevo altre esigenze, dovevo entrare in più canali, mentre dal 2014 che sono Villa Parens ho sempre cercato differenziazione, una certa esclusività e una dimensione più piccola producendo oggi 60/70.000 bottiglie.
Rimango interlocutore però, per quanto riguarda il momento. In questo momento bisogna salvare il mondo del vino, è un momento poetico/artistico. Come missionario del vino, sono arrabbiato perché ormai il vino è entrato in un concetto business, in un concetto affaristico, dove tutto vale un rapporto prezzo/costo/prestazione. Quando ci si siede a tavola per chiudere un ordine, entrano sempre in gioco delle politiche di scontistica che tralasciano il vero valore del vino, ma ne giudicano solo il prezzo.
Io sono figlio di Vittorio Puiatti che, negli anni ’60/’70, travasa il concetto di vino-alimento bevanda a momento emozionale di piacere artistico. Io continuo a parlare di estetica del gusto, di identità olfattive, di un momento filosofico. Inoltre, non seguo i criteri del biologico perché per me la natura non è bio anzi è tendenzialmente nemica, perciò cerco di entrare in simbiosi con essa. I criteri devono essere di equilibrio e responsabilità. Accuso l’umanità e gli individui, del fatto che, dal momento in cui non sono in grado di essere onesti con se stessi, costruiscono delle regole. Non è onesto seguire per forza delle regole per recuperare una verginità. Se fossero regole naturali e semplici ok, ma ci sono voluti 12 anni per mettere giù le regole per il biologico e biodinamico a livello europeo. Nessuna grande azienda, vedi Ca’ del Bosco, Gaja, Bellavista, Antinori, fa il vino bio. Tutti i piccoli produttori si trincerano dietro a qualcosa altro: mettono in piedi il bio per vendere al doppio del prezzo. E’ il dilemma dell’onnivoro.
Penso che la perfezione stia in natura. Ecco perché nel ‘67 mio padre già diceva: meno alcol niente legno. L’uva presenta già aromi e profumi che la distinguono. L’uomo non ha il diritto di continuare ad inserire nel vino elementi estranei che non fanno parte della materia prima.
Finche’ le cose andavano normalmente tutti hanno goduto del meglio. Il vigneto se lo lavori a mano dura 50 anni, se lo lavori a semi macchina 25 anni, solo a macchina a 18 anni. La qualità è il coraggio della rinuncia. Le estremizzazioni sono dannose. In Italia si cerca sempre di speculare, invece l’obbligo è dare il meglio di noi stessi. Il tempo è sempre più saggio di noi”
Sig. Puiatti come pensa sia rappresentato il suo territorio, al momento?
“Molto rammaricato, ti dico che il Collio è il territorio più anacronistico che esiste”. Da 6 anni ho un’azienda nuova e nonostante i 50 anni di esperienza, se non sono arrivato dove volevo è per via del territorio in cui vivo. Ho portato per decenni il nome di questo territorio in giro per mondo in un mondo che chiede meno alcol e niente legno. Mentre qui viene fatto tutto il contrario, posso capirlo per certi vini rossi, ma per i bianchi proprio no.
Nel mondo del vino, sono anche un battagliero nei confronti degli orange wines. Se è vero il mio discorso ‘che devi crescere’, mi devono spiegare qual è il valore aggiunto del tornare indietro? Quando mi parlano dei bio e degli orange rispondo: ‘scusate signori ho comprato un biglietto per andare su Marte, ne riparliamo quando ritorno.
Tornando al Friuli, rimango esterrefatto quando sento dire da ragazzi giovani, che hanno studiato enologia: “ma sa signor Puiatti, mio nonno faceva il vino così, perciò io continuo così”. infatti poi, quando vado in giro ed affronto il mondo, mi sento dire dagli altri: “si, signor Puiatti, lei è conosciuto, ma il suo territorio non è interessante!” perché’ non vengono venduti i miei vini da 12 gradi, viene venduto il Friuli. Infatti, io lo dico apertamente: nella mia bottiglia prima c’è un vino, poi un vino del mondo, poi italiano, e per ultimo friulano. Al contrario di come dovrebbe essere. Il territorio non ha saputo rimanere attuale, presentatomi da friulano ho un handicap incredibile e questo non vuol dire compromettere un’identità. L’identità deve essere aggiornata.”
Quindi pensa che non si stiano facendo progressi, che non si possa competere con la concorrenza? e che il settore vino non si sia evoluto come la cucina?
“Il vino è fermo, immobile. È statico e non è propositivo. Già 20 anni fa dicevo: ‘il legno in cantina è come la panna in cucina’. La soluzione migliore, contro ogni ossidazione è l’acciaio, perché’ rispetta la materia. In cucina oggi si cucina a 60 gradi, sottovuoto, si sta attenti a non sfibrare o danneggiare gli alimenti, invece qui continuiamo con 14 gradi e legno”. Tornando sul mio territorio, ogni anno Wine Spectator chiede quali sono le aree vinicole prioritarie, fino al ’95-‘96 il Friuli era al terzo posto in Italia, oggi siamo all’undicesimo.
Quando mi chiamano oggi, infatti dico: cosa e cambiato? la terra? i sassi? abbiamo spostato le colline? sono l’arroganza e la presunzione che non ti fanno crescere, perché’ non ti permettono di metterti in discussione; le tue certezze vanno aggiornate, perché’ il mondo è in continuo divenire e se ti fermi, c’è sicuramente qualcuno che prende il tuo posto.
Quando presento i miei vini, ogni tanto mi dicono: ‘belli, buoni, interessanti. Ma non riconosco il Collio, mancano di rusticità’. Quindi che cos’è la rusticità!? magari io, invece di avere il pollo nell’aia, ce l’ho in un posto curato e ben igienizzato, magari è anche meglio no?!
Per concludere, una delle frasi più belle che mi piace dire su mio padre è che mi ha lasciato il futuro. 50 anni fa ha detto meno alcol, niente legno. io non dico che era un visionario, ma aveva gusto e una cultura che lo portavano a giudicare i prodotti in un certo modo. La dedizione ti fa distinguere le cose belle. nella mia azienda ho creato anche una concept room, un ambiente di cultura. Se le capisci le godi, altrimenti no.”
Se avesse avuto un vigneto in un’altra zona vinicola, quale sarebbe stata la sua location ideale?
“La Borgogna, e non disdegno neanche l’Austria. Mi sarebbe piaciuto fare il pinot nero”. Combatto il concetto italico del pinot nero perché’ si cerca di imitare il pinot nero francese. Le imitazioni arrivano sempre seconde. Il grande problema è essere originali, guarda cosa è successo in Friuli: 47 aziende sono state sanzionate per frode (ndr fatti di cronaca dell’anno 2015). Hanno fatto i ladri di polli col sauvignon! io mi domando, ma se sei già una zona in pole position? perché fare certe cose?
ABBIAMO SOLO BISOGNO DI ESSERE AUTENTICI