Quando ho deciso di creare questa rubrica era mio interesse dare voce ai piccoli produttori, a chi il mestiere del vignaiolo lo fa per passione.
Questo sentimento così forte l’ho riscontrato spesso, trovo veramente bello e affascinante poter scambiare delle opinioni, confrontarmi con questi vigneron per capire la visione che hanno del mondo del vino.
Quando ho contattato Emanuela Mastrodomenico, sfortunatamente, ho potuto farlo solo telefonicamente.
Il nostro è stato un incontro telematico e non potevo immaginare che mi sarei trovato di fronte una persona così esplosiva, vulcanica e travolgente tale che, quello che troverete scritto successivamente, trascende il format tradizionale dell’intervista.
Lo definirei più un flusso di coscienza condivisa, i nostri ruoli non erano più ben chiari e definiti. Riuscire a trascrivere tutto quello che ci siamo detti incatenandolo dentro una serie di domande e risposte rischiava di snaturare il senso del discorso, di rendere tutto troppo asettico.
Emanuela – Ci sono cose che nascono dopo un periodo di forte sconvolgimento, sia sul piano strettamente personale – siamo stati scombussolati nelle nostre abitudini più private – sia su quello aziendale, commerciale, soprattutto per le piccole realtà che si basano tanto sui contati umani; ciononostante mi piacerebbe pensare che ci siano anche degli aspetti positivi in tutto questo, evoluzioni nel modo di comunicare ad esempio.
C’è stato un momento di sbandamento per tutti, ci siamo reinventati con trasmissioni in streaming, conferenze su Zoom etc. però la cosa non può durare per sempre, bisogna mettere dei contenuti tangibili, i creativi devono fare la loro parte.
Subito dopo il primo lockdown, messo su un e-commerce, ho capito che bisognava un attimo ragionarci.
Tutti ne hanno uno al giorno d’oggi, dalla cantina più grande a quella più piccola, per questo trovo veramente importante quello che state facendo voi (Deep Red Stories n.d.r.): mettere in evidenza la realtà che c’è dietro, la passione che ci spinge ad affondare la mani nella terra, non siamo tutti uguali e questo è l’unico modo per far capire alla gente che c’è una differenza sostanziale tra le aziende.
Sul sito non abbiamo aggiunto solamente lo shop ma abbiamo anche dato la possibilità a chi fosse interessato di prenotare i tour degustazione.
Ho sempre creduto in questo perché ritengo che i miei otto ettari di vigna siano incastonati in un ambiente magnifico e tipico della mia regione, ed io voglio valorizzarlo.
Mi sono resa conto che passeggiare tra le vigne è una bella esperienza di condivisione.
Di enoturismo si è sempre parlato, attualmente però è un settore work in progess e la limitazione negli spostamenti non aiuta.
Avevo iniziato ma, logicamente, ora siamo fermi.
Ho avuto delle richieste ultimamente solo da piccoli gruppi di persone locali, immagino che non sarà sempre così, anzi questo ci consente di prepararci meglio per quando i confini saranno nuovamente aperti.
Durante i tour io descrivo per prima cosa la zona, dove si trovano i vigneti.
Ho creato un’introduzione generale ma poi ogni giro è strettamente legato ad un tipo di vino, ho cercato di proporre diverse alternative che siano fedeli all’identità del territorio ed alle bottiglie presentate.
Noi ci troviamo in un tratto lungo l’itinerario della via Appia alle pendici del vulcano (ormai spento), una zona che si fregia di un paesaggio unico e di una storia che risale all’età del bronzo. Quelli che raccontiamo sono fatti appresi attraverso lo studio e li comunichiamo durante i nostri tour.
Questi percorsi enoturistici io me li immagino di fascia alta.
In passato ho avuto alcune esperienze con diversi gruppi, anche dall’estero, ed ho scoperto che il cliente migliore è proprio quello che ha un background culturale e di approccio al territorio tale da consentirti di andare oltre a quella che è la semplice degustazione.
Non avrebbe senso fare un percorso del genere e poi limitarsi soltanto a stappare una bottiglia, non è quello il mio obbiettivo, bisogna lavorare sulla cultura del vino che ruota indissolubilmente intorno al territorio che lo caratterizza, credo sia un messaggio importante.
Tutto è iniziato negli anni 2000 quando mio padre piantò le vigne, in quel periodo io volevo fare il giudice… poi piano piano, vendemmia dopo vendemmia, quando tornando a casa trovavo la campagna e la cantina, sentivo un richiamo troppo forte da passare inosservato.
La cosa che apprezzo di più è che lui non mi ha mai forzato, anzi, mi disse: “Vuoi andare a Roma?” – Io ho studiato lì – “Però sappi che noi siamo qui”. Forse questa è stata l’impostazione giusta, che mi ha fatto capire che le mie origini sono qui, il mio cuore batte tra le vigne.
La mia formazione di stampo classico mi ha portato a laurearmi in legge, sono una persona che ha sempre approfondito e studiato, questo tipo di approccio l’ho applicato molto nel nostro progetto. Partendo ad esempio dalla ricerca dell’appellativo dei vini: per il “Likos”, il nostro vino principale, sono andata a ricercare l’origine della Lucania.
Questo è un nome di provenienza greca che deriva dai Liki, antichi popoli autoctoni che battezzarono questa regione.
Tutto questo studio fa già intuire che il nostro non è un progetto banale, ma minuzioso e curato.
Perché l’approfondimento paga sempre, ci vuole tempo, ma i risultati poi arrivano.
Tutto quello che ho appreso, credimi, alla fine è servito anche per questo, è una capacità d’approccio alla materia.
Ci stiamo applicando per creare una biodiversità nel vigneto, io lavoro in biologico, aldilà dell’etichetta la mia è proprio un’impostazione mentale che mi è stata trasmessa da mio padre (agronomo).
Lui ha piantato le vigne, ha combattuto, è uno che nonostante fosse un pugliese trapiantato in Basilicata per amore, ha sempre adorato questo posto.
Nei nostri otto ettari abbiamo solo Aglianico, in realtà, stiamo anche investendo in un programma di sperimentazione che li valorizzi al massimo ma sempre con occhio attento al rispetto del territorio e della sua attitudine.
Siamo partiti con una piccola produzione di Likos, circa cinquemila bottiglie, adesso si sono aggiunte altre etichette: il Likos première 2017, il rosato Fonte del Ceraso ed un passito chiamato Shekar.
La selezione dei grappoli è quasi maniacale e vendemmiamo solo quelli migliori, attualmente abbiamo raggiunto le ventimila bottiglie circa, chiaramente l’annata (oltre che i limiti imposti dal regime biologico) va ad incidere molto sulla resa finale.
Potremmo produrre molto di più ma abbiamo deciso di fermarci su queste cifre perché preferiamo investire su altri progetti che per il momento tengo nascosti per non rovinare la sorpresa.
Ci stiamo evolvendo, per quanto riguarda le bottiglie tieni conto che il Likos lo produciamo solo nelle annate migliori, attualmente infatti si trova in vendita la 2015.
Non bisogna lasciarsi prendere dallo sconforto in questi periodi, quindi ho un po’ osato ed ho fatto uscire anche una nuova etichetta, bisogna avere coraggio.
Io tengo duro, mantengo alta la qualità per tutti i sacrifici che sono stati fatti dalla mia famiglia e dalla gente del vulture, per l’identità del territorio e per il valore intrinseco che ogni singola bottiglia ha.
Voglio puntare in alto, la grandezza di questo vitigno non è ancora stata compresa a fondo secondo me, noi ci sottovalutiamo tantissimo forse perché il popolo lucano è molto umile.
Un vitigno come il nostro, se fossimo in Francia, probabilmente avrebbe il posto che si meriterebbe e sarebbe apprezzato in tutto il mondo.
Per questo sono convinta che bisogna puntare alle stelle, non perché voglia peccare di superbia ma perché abbiamo le carte in tavola per potercelo permettere.
La nostra vigna ha la fortuna di svilupparsi su livelli ed esposizioni diversi,il grande pregio è di avere una grossa varietà di terreni e relative composizioni all’interno dello stesso vigneto.
Abbiamo una parte talmente scoscesa che per riuscire a vendemmiare bisogna muoversi in ginocchio, poi c’è molto vento quindi il terreno è sempre asciutto e quelle che portiamo in cantina sono uve sanissime.
Su questo vigneto mio padre è stato veramente lungimirante, lo chiamavano “il professore” ma per me è più un architetto, ha progettato questo appezzamento seguendo l’individualità del terreno, rispettandone le forme ed esaltandone le qualità.
F – Se dovessi rinascere in un altro posto e potessi approfondire un altro vitigno, quale sarebbe?
Bella domanda, sai perché? Se si andasse a vedere l’origine di tutti i vitigni si scoprirebbe che c’è una matrice comune, ed io ho un po’ la fissa per questa tematica.
Quando si parla di Aglianico mi piacerebbe comprenderne a fondo le differenze, proprio per questo prima ti accennavo la sperimentazione, perché bisogna sviluppare progetti nuovi sulla base delle certezze che si hanno già.
In realtà non ti saprei rispondere, io sono nata qui e da un lato mi piacerebbe approfondire di tutto e di più ma dall’altro, se dovessi rinascere, credo che ripeterei lo stesso percorso.
Sono innamorata della mia terra e sono convinta che ci sia ancora tanto da scoprire, questo è un percorso lungo, un percorso di vita.
Mi piacerebbe scavare fino alle radici di questo vitigno simbolo del Sud in generale, lavorare per valorizzare l’incredibile potenziale che ha da offrire il meridione.
Sarebbe troppo facile dire magari:”avrei voluto produrre questo Champagne o quell’altro”, ma è un errore concettuale perché, come ti dicevo, molto spesso la grandezza e la notorietà di un vino sono dettate da altre regole che nulla hanno a che vedere con la qualità in se.
Ti mostro un bell’aspetto, il vigneto ad esempio si trova a Rapolla, la cantina si trova a Barile, mio marito è di Venosa quindi la mia vita è spalmata in diversi punti del Vulture.
A Venosa abbiamo avuto Quinto Orazio che ha decantato tanto il vino.
Il mio primo pensiero è che gli antichi romani godevano di questa bevanda lodandone le tante qualità, come fosse quasi una panacea contro i malanni.
Quindi la sua storia è intrecciata indissolubilmente con quella del Vulture e si è sviluppata di pari passo, che è una cosa che molto spesso si tende a tralasciare.
Il secondo pensiero è quello legato al vulcano perché la mia vigna si trova proprio su un suo versante.
Proprio quel vulcano che nel corso del tempo ha radicalmente trasformato il territorio che lo circonda, disegnando paesaggi che prima non c’erano e finendo per essere permeato dalle radici delle piante.
Una matrice incredibile che va a caratterizzare quelle che saranno le percezioni organolettiche di ogni singola bottiglia, arricchendole di sfumature uniche e di una potenza inaudita.
Magari un tecnico ti saprebbe spiegare meglio, io ti posso solo dire che il vulcano si sente e spesso mi emoziona, mi insegna tante cose, perché il è vino che poi ci parla e ci trasmette tutto quello che la natura circostante gli ha infuso.
E’ l’uva stessa che ci insegna come vuole essere trattata.
E tutto questo discorso si è trasformato in una cura approfondita della vigna ed in una scelta di intervenire il meno possibile in tutte le fasi.
Io non ho una tipologia di vino come obbiettivo ma lascio che sia l’uva stessa a dirmi come vuole essere raccontata, di conseguenza non amo troppi passaggi in legno ma preferisco i lunghi affinamenti in bottiglia.
Essendo la nostra una piccola realtà tante cose le facciamo a mano riuscendo a curare i dettagli ed evitando di far scomparire la vera identità del vino.
Nelle prime annate l’influenza del vulcano era quasi preponderante, poi con l’esperienza abbiamo capito come arginare la sua potenza e rendere i vini più eleganti ed equilibrati.
Siamo arrivati a produrre un Aglianico annata, subito pronto da bere, ed una riserva con maggiore struttura e potenziale d’invecchiamento, quella che per noi sentimentali è la vera espressione di questo territorio.
Ogni vendemmia cerchiamo, con tutta l’umiltà che possiamo, di dare il massimo perché il nostro vero pregio è quello di metterci la faccia.
Mio padre mi ripete sempre che in ogni bottiglia c’è la nostra dignità, la nostra identità.
Per concludere vorrei ricordare di quando da giovane facevo teatro, di quanto mi piaceva il fatto di stare sul palco, di far ridere la gente e di intrattenerla.
Fu proprio li che capii di adorare le cose belle, di essere innamorata della bellezza in generale, a partire dalla musica, dall’arte…amo coltivarla a trecentosessanta gradi e circondarmene.
La considero il mio safe place, credo che sarà quello che ci aiuterà a superare questa tremenda crisi.