Il vino è benessere e convivialità, è viaggiare, conoscere, status, ma soprattutto il vino è il frutto del terroir e della relazione tra uomo e vigna.
Carlo Noro, voce e mani autorevoli nel campo dell’agricoltura biodinamica, ha condiviso con noi la sua visione in merito allo scenario attuale e ci ha raccontato le sue osservazioni collezionate nel corso dei tempi.
Il Sig. Noro gestisce un’azienda orticola e la sua attività si concentra principalmente sull’allestimento dei preparati biodinamici, sulla produzione di ortaggi e sull’organizzazione di corsi per operatori che desiderano approcciare alla cura della terra in assenza di additivi chimici e allo stesso tempo sfruttare le energie già presenti in natura per ottenere il massimo risultato.
L’amore che questa famiglia conferisce nel proprio lavoro, viene ampiamente ricambiato dai ristoratori dell’areale laziale, che si dimostrano affezionati e leali promotori dei vini prodotti dai figli Simone e Valerio.
L’azienda si trova a Labico, nelle campagne in provincia di Roma.
Com’è stato l’esordio della sua professione?
“Inizialmente ci chiamavano stregoni. Sono stato un pioniere nel Lazio e quando ho cominciato a seguire le orme del metodo Steiner, non c’erano le riposte che abbiamo adesso. Venti/trenta anni fa non c’erano, oggi ci sono. Ci tengo a precisare che non esiste un vino biodinamico, ma esiste un’uva biodinamica. La biodinamica non entra in cantina, si deve parlare di agricoltura biodinamica. Perché si dice che il vino si fa in vigna e non in cantina? Perché deriva tutto dal metodo agronomico che avviene in vigna. La chimica ha modificato e deviato questo processo naturale attraverso l’uso dei lieviti selezionati. È terribilmente presuntuoso pensare di poter imitare la natura, ci proviamo ma non ci riusciamo. Attualmente non siamo in grado di ricostruire un filo d’erba. Figuriamoci se possiamo concludere un processo come la ricostruzione dei sapori dell’uva.”
Ma quindi come mai vengono utilizzati lieviti selezionati? Perché rappresentano delle scorciatoie?
“Il problema, alquanto triste, è che per via dello stress causato dalla chimica impiegata nel corso degli anni, la frutta non è più in grado di sviluppare tutti gli aromi distintivi a cui eravamo abituati. Purtroppo, gli enologi spesso si fanno i loro calcoli per cercare di sfruttare la natura per trarne beneficio. Ma il risultato è irreale, il ricorso ai percorsi scientifici corre in parallelo con la vera scienza che è la natura, ma non si sovrappone. Spesso ho pensato che fossi io a non sentire più gli odori, ma non è così. Gli aromi della frutta stanno precipitando perché la microbiologia del terreno si sta esaurendo. La scienza agronomica ufficiale ha sostituito gli elementi”. “Per esempio, quando la scienza ha sintetizzato l’azoto che è nell’aria e l’ha messo nel terreno. L’azoto che è nell’aria è diverso da quello che sta nella terra. Un conto è l’azoto che fissa una leguminosa nei suoi processi endogeni, un conto è quello che sta nell’aria! È una tua teoria, è presunzione!”
Ma quindi come si fa a mantenere una certa verginità quando è tutto così contaminato?
“La biodinamica sta cercando di riordinare l’errore della scienza agronomica, non usando fitofarmaci, fertilizzanti, concimi chimici. Supportiamo la natura con delle medicine, che non sono mie invenzioni. Sono regole semplici che solo un veggente come Steiner poteva stabilire. Incredibile prevedere che 200 gr di letame per ettaro (opportunamente elaborato e dinamizzato) avrebbero prodotto tutte le quelle attività batteriche favorevoli. Impossibile da stabilire all’epoca.”
Come si fa invece ad evitare che accada qualcosa di sbagliato nel processo di vinificazione “naturale”?
“Con l’esperienza, l’accorgimento. La natura si sta esaurendo quindi la vinificazione è stata costretta a correggere. Ormai tutte le fermentazioni vengono fatte partire con impulsi, stimoli. Mio padre 50 anni fa faceva il vino e non aveva questo tipo di problemi, non doveva fare i conti non particolari difetti, il vino veniva bene. Fin quando la natura ha detto ‘mi sto esaurendo!’, con la privazione dei lieviti presenti sulla pianta. Se la pianta è debole, è morente, non ha la forza di sviluppare la risonanza degli aromi che aveva una volt! Ecco perché la chimica enologica ha dovuto correggere. È tutto collegato, anche in medicina vengono impiegati i farmaci. I farmaci fanno guarire il sintomo ma aprono la strada ad altre malattie.”
La produzione dei suoi vini invece com’è strutturata?
“Premetto che non sono un viticoltore. L’etichetta dell’azienda è denominata ‘Società agricola biodinamica Carlo Noro’ ma sono i miei figli a fare il vino. Sono guidati da Michele Lorenzetti, enologo e biologo cofondatore insieme a me della nostra scuola Professione Biodinamica. Io non entro in merito alla produzione ma chiaramente loro si fidano della mia esperienza perché conosco molto bene le piante. La vite è prima di tutto una pianta, quello che è importante è la sua fisiologia, il metabolismo. Tutte le altre cose come le potature, sono secondarie. È importante sapere come vive una pianta sana. La prima annata è stata nel 2011, il primo vino fu Collefurno (Cesanese del Piglio). Quel vino ti fa capire quanto la biodinamica faccia la differenza. Offre delle potenzialità incredibili per migliorare il tuo prodotto. Collefurno è il più gettonato perché ha più anni di biodinamica alle spalle”. Poi ci sono l’Oncia Rossa ed il Foretano (altri due Cesanese), il Costafredda e l’Oncia Bianca (rispettivamente Passerina e Malvasia e Passerina).
Quindi pensa sia diventato un business, mi riferisco alle masterclass di potatura?
“Penso proprio di sì. Anche perché la pianta meno la tocchi, meno la poti meglio è. La forza della pianta sta nel terreno non nella potatura. In base al terreno devi capire cosa fare e cosa non fare, come relazionarti con la sua struttura. Quando hai capito cosa hai di fronte allora sì che puoi intervenire con le potature”.
Le parole di un veterano come il sig. Noro contengono un immenso valore culturale per gli appassionati del mondo del vino perché forniscono delle risposte concrete ad alcuni degli interrogativi più comuni che si generano automaticamente quando si affrontano certe tematiche. Nonostante le preoccupazioni per gli effetti della chimica sulla natura ed il dispiacere per il ricorso ancora diffuso di alcune pratiche agronomiche, la sua indole da artigiano della terra gli fa concludere il nostro incontro con una frase pronunciata con un grande sorriso “Io comunque sono ottimista perché conosco la biodinamica e so osservare la natura”.