Prima di un’intervista, ci sono una serie di rituali e consuetudini che si mettono in pratica, ognuno a proprio modo e con le proprie tempistiche. Generalmente si cerca di acquisire una serie di informazioni personali e professionali sulla persona di interesse, ad esempio: dove è nato – cresciuto – percorso di studi – percorsi formativi – esperienze professionali ecc ecc.
Dopo una attenta riflessione si passa alla stesura di una lista di domande da porre, che virino ovviamente all’obiettivo prefissato.
Al termine di tutti queste fasi preparatorie e propiziatorie si è pronti a dare il via alle danze. Componi il numero sul telefono – l’unica soluzione attuabile purtroppo causa questo maledetto Covid-19 – ed entri in scena, pronta ad affrontare la conversazione così come l’avevi immaginata e studiata, sicura della tua armatura da condottiero.
<< Ciao! Come stai?? Dove stai passando questo secondo periodo di lockdown? >>
Non c’è più lavoro, nessuna scaletta mentale, domande e toni distaccati. È tutto che al di fuori di una telefonata impostata tra persone
che non si conoscono. Via regole e dogmi. Via tutto.
Sono state sufficienti le prime due frasi per sconvolgere i piani. Senza neanche rendersi conto della velocità di come si è messa mano a barra e scotte per cambiare la rotta. Essere completamente catapultata su un altro livello in cui una nuova pellicola inizia a girare.
Un flusso di parole che scivola via, una conversazione tra vecchi amici, fresca e sincera come l’aria che si respira nella zona della sua casa e dei suoi vigneti. Sto parlando di Coredo e la Val di Non. Sto parlando di Nicola Biasi e il suo Vin de la Neu.
Un’avventura e un percorso di vita iniziato nel 2011 a seguito del fatidico SI pronunciato da suo padre. Un SI tanto sudato preceduto da 4 anni di NO. Un SI di rivoluzione per il cambiamento che da lì a breve sarebbe accaduto nel giardino intorno la loro casa. Casa di progenie, dove le mele ne hanno fatto da protagoniste come del resto in tutta la Valle.
E allora perché la scelta di espiantare alberi di mele per piantare viti, proprio in quel luogo?!
<< Per due motivi in particolar modo. Il primo è pratico, può risultare meno romantico infatti, ma è la terra della mia famiglia. Il secondo motivo invece è più ideologico: il voler dimostrare il significato differente tra zona vocata e zona famosa. La Val di Non, ad esempio, potrebbe essere benissimo una zona vocata e spero con il mio lavoro di riuscire a dimostrarlo vendemmia dopo vendemmia. Un posto giusto, un vitigno giusto e una enologia giusta. >>
La scelta di quale vitigno impiantare è stato oggetto di studi attenti e precisi. Il vincitore, non rientra nella rosa di quelli più rinomati e
conosciuti, ma bensì tra quelli resistenti, tipologia al momento ancora poco chiacchierata. Johanniter – questo il suo nome – è un vitigno bianco iscritto al registro nazionale dal luglio del 2013, ma selezionato già nel 1968 da Johannes Zimmerman presso l’Istituto Statale di viticoltura di Freiburg. Un ibrido generato tramite un’autofecondazione artificiale tra padre= incrocio tra Riesling e Seyve Villard & madre= incrocio tra Pinot Grigio e Chasselas.
L’obiettivo principe di Nicola è quello di ottenere un vino bianco che duri nel tempo, un vino che vuole spezzare la tradizione “rossista” italiana di longevità. Un vino originale e di alta qualità, nel pieno rispetto del territorio delle Dolomiti e dell’ambiente. I pali, ad esempio, sono in larice non trattato, un tipo di legname che è parte del naturale patrimonio boschivo della zona e la facile reperibilità̀ ne ha quindi ridotto l’impatto ambientale in fase di trasporto. Una quasi totale assenza di trattamenti anticrittogamici perché << nel giardino di casa tua non vorresti mai qualcosa di chimico e dannoso, la stessa cosa vale per me anche se invece delle rose ho la vite. Le operazioni in vigna vengono svolte tutte manualmente senza alcun intervento di mezzi a motore, infatti la distanza tra un filare e l’altro è di 1 metro, mentre tra pianta e pianta 0.60, che permette quindi di entrarci solo a piedi.>>
Un accurato studio è stato fatto anche durante l’allestimento della cantina nel 2015. Niente acciaio ma vasche di cemento non vetrificato con controllo di temperatura; pressa da 5 quintali francese, la seconda venduta in Italia; imbottigliatrice che crea il vuoto in bottiglia e satura con gas argon (preferito rispetto all’azoto per evitare il processo di ossidazione). Finendo con le barriques riutilizzate per due anni, da avere quindi sempre il 50% di legno nuovo che assolve il compito di aiutare il vino nell’evoluzione, donandone ricchezza e complessità.
Una forma mentis quella di Nicola frutto delle sue esperienze in Australia e Sud Africa. << Rispetto a noi non hanno un’antica tradizione vitivinicola alle spalle, con la conseguenza di meno paletti e preconcetti. Perciò senza avere il limite di pensiero che se un processo non è stato finora fatto allora non si può fare. Perché non provarci?! Bisogna crederci e agire al meglio per ottenere un qualcosa che valga. È giusto percorrere un’idea ragionando in maniera analitica.>>
Un prodotto di contraddizione << è semplice e complesso allo stesso tempo. Semplice perché è molto facile da bere, un continuo richiamo alla beva come giusto che sia un vino. Allo stesso tempo complesso con una identità molto forte, in continua evoluzione. Al secondo bicchiere è un altro vino con nuovi profumi avvolgenti tutte da scoprire.>>
Un caso di successo quello di Nicola, dettato dall’unicità del progetto che unisce, al gusto nuovo e diverso di un vitigno resistente, la massima attenzione ai dettagli in cui nulla viene lasciato al caso.
Chiusura perfetta di questa chiacchierata sarebbe stata il tocco dei calici, respirando l’aria fresca e il silenzio della natura circostante. Succederà. Appuntamento solo rimandato.