Prosegue la nostra inchiesta sulla ristorazione Roma e il suo rapporto (di amore e di odio) con i vini del Lazio.
Riprendiamo dunque analizzando il pensiero di chi ha scelto di offrire i vini del territorio, ma lo fa in modo ancora “timido”, di chi si è riproposto di concedere più spazio in futuro e da chi invece preferisce ancora non esporsi adducendo comunque un giudizio “consapevole”.
Seguendo la nostra ricca agenda fitta di incontri e telefonate, il primo contatto di questa seconda parte della nostra inchiesta è il Sorpasso. Il concept di questo locale è geniale perché c’è una salumeria indoor.
L’offerta cibo-vino è piuttosto variegata e di qualità. In carta dei vini sono presenti produttori laziali e sono anche bene esposti al pubblico, tuttavia al bicchiere c’è solo un’etichetta locale “Di Marzio” Bio Vallefiara, il vino sarà anche bio ma produce 90/100 quintali per ettaro di Malvasia di Candia e Trebbiano Toscano, quindi privilegia decisamente il prezzo rispetto alla qualità del prodotto (5-6 euro a calice).
Da Luciano Cucina Italiana, il nome sembra uno spot ed il ristorante propone piatti piuttosto tradizionali, compresi quelli della tradizione romana. Il concept è molto artigiano, visto che hanno anche un pastificio. Il criterio è che la qualità dei vini sia adeguata ai piatti. La mescita varia dai 7 ai 9 euro.
Gli piace sponsorizzare molto i vini laziali, in particolare Carlo Noro (Labico) col suo Cesanese del Piglio da agricoltura biodinamica e l’Oncia bianca, Malvasia e Passerina. Di sicuro continueranno a mantenere questa filosofia visto che i risultati sono da sempre incoraggianti.
Diverso approccio invece per Osteria Bonelli, locale molto spartano, senza siti web e con meno fronzoli possibili, ma piace per questo, il proprietario dice che non sa più dove mettere la gente.
Qui, infatti, il vino non si vende al calice ma a bottiglia e si privilegia il rapporto qualità prezzo. La selezione dei vini proposti non segue un tema particolare, uno dei fattori importanti è che la distribuzione sia a lui congeniale. Inserisce anche referenze che si vendono da sole (compreso qualcosa di cui non è proprio orgoglioso ma che non si sbilancia a dire). Vini laziali che hanno avuto buon seguito e di cui è soddisfatto sono Tenuta le quinte (Montecompatri) e Cincinnato (Cori).
C’è spazio anche per le new entry sul territorio come Osteria Faleria che propone un menu ben strutturato, con offerta da osteria pesante e una discreta presentazione (coda alla vaccinara, trippa ecc). Il locale sta avendo buon successo, il contratto di affitto è partito a marzo e contrariamente alle aspettative lavora bene. La cantina è un “work in progress”, al proprietario piace fare scouting in giro.
Per motivi di tempistica stanno costruendo la cantina piano piano, sulla base di piccoli produttori e cose di nicchia. Tra i più gettonati, il Merlo (Antonio Carrarini) che fa Bellone, Ottonese e Malvasia (Vecchi filari) e Coe Piccu Trebbiano, Malvasia (Valle del Sacco, San Vito Romano).
Ci tiene moltissimo all’onesta dei prezzi e ai ricarichi giusti. La mescita è offerta a partire dai 3 euro, come bianco c’è il Coe Piccu mentre per il rosso si va sul Rosso Fontananova Carravini.
In futuro vuole inserire Cabernet di Atina, Susumaniello ma anche vini lucani come il Recepit Chiaromonte (vitigno raro), del Lugana, il Montepulciano d’Abruzzo, Pasetti, un Tintilia ed una Barbera mossa.
Pensa che il romano medio gode a bere i vini da grande distribuzione e spesso li chiede senza nemmeno guardare la carta.
In zona “Champions League”, arriva il momento di fare due chiacchiere con i boss di Rimessa Roscioli in particolare con Alessandro Pepe creatore del progetto in società con Alessandro Roscioli, per questo concept che vuole essere un bistrot in chiave moderna punto di rifermento per chi vuole bere “fuori dalle righe” a Roma.
Molti gli spunti e i progetti in cantiere, o già realizzati, per reagire al calo di presenze sul territorio (su tutti la realizzazione di un Wine Club sul web per dialogare costantemente con i tanti clienti affezionati sparsi nel mondo). “Credo che questo sia l’unico locale in città ad offrire 70 bicchieri alla mescita, personale composto da tutti sommelier diplomati, oltre alle materie prime di assoluta eccellenza e un ambiente soft ed una location centrale – esordisce Alessandro – i vini entrano nel locale solo se davvero ci mi piacciono ed il Lazio è sicuramente sotto la nostra attenzione anche se molto deve essere ancora fatto. Siamo dei fan sfegatati di Damiano Ciolli, ma ci piacciono anche Giacobbe, Priore-Mozzatta (di Rosa Alessandri e Piero Macciocca), Maria Ernesta Berucci, i biodinamici di Palazzo Tronconi sempre per restare in Ciociaria.
Non riesco a vendere né a comunicare se non credo nel prodotto. E quando arriva una new entry nello staff gli chiedo sempre: “Sei capace di raccontare un vino e tutto quello che ci sta dietro…in un minuto?”.
Progetto invece più che maturo e consolidato quello portato avanti da Il Goccetto, sempre in centro.
Federico, seconda generazione di enotecario nel cuore di Campo dei Fiori, porta avanti questo storico “Vini e Oli” che i genitori rilevano nel 1983 e che poi trasformano in Enoteca anni fa con l’endorsement di personaggi noti come Antonio Paolini (Gambero Rosso) e Daniele Cernilli (Doctor Wine) che qui sono di casa da sempre. La filosofia di base è quella di cercare di poter accontentare tanti gusti diversi della clientela: dai classici alle nuove tendenze, dai macerati ai biodinamici fino ad arrivare ai naturali.
“Seguiamo da vicino la crescita dei vini laziali, soprattutto negli ultimi 10-15 anni. Principalmente per i bianchi ci piace avere sugli scaffali quelli di Mottura, di Villa Simone che è da molto tempo uno dei migliori Frascati in circolazione, di Cotarella, di Ciolli, di Casale della Ioria e di De Sanctis”.
Al Goccetto però trovano interessante anche le nuove leve della Tuscia e del viterbese (Ciucci che fa biologico interpretando il Violone, il Montepulciano laziale) e nomi più affermati del Lazio zona Castelli come Carpineti (Cori) e Merumalia (Frascati). Da quando hanno riaperto la loro clientela ha mostrato un maggior interesse verso il vino regionale anche abbinato a cibi nazionali. Conclude Federico dicendoci che in questi anni non hai mai riscontrato un’involuzione da parte dei produttori laziali ma li ha sempre visti in un’ottica di miglioramento continuo.
Abbandoniamo il centro storico per parlare con Salotto Trieste, nome altisonante per questo locale zona “triestina” dove la mescita si assesta sui 5-6 euro, spesso è incluso nel pacchetto lunch/aperitivo. Non molta attenzione viene posta ai vini del Lazio ma la nostra sensazione è che ci sia poca attenzione proprio rispetto ai vini in generale. La carta mostra una presenza maggioritaria di vini umbri/abruzzesi mentre nella selezione del cibo, spunta qualche piatto laziale della tradizione. Insomma, dietro una attività imprenditoriale di sicuro “successo” la percezione è che non ci sia una filosofia chiara e una scelta forte su come e cosa proporre nella somministrazione cibo-vino. Difficile per ora quindi comprendere il loro approccio sui vini regionali.
Acciuga Prati, propone cucina prettamente regionale. Il concept è l’abbinamento con i piatti della tradizione Marchigiana. Hanno una piccola carta che contiene aziende che fanno piccoli numeri, non c’è nessun criterio particolare nella selezione ma non includono produttori laziali per matrice territoriale. In realtà il proprietario non esclude di aggiungere referenze laziali in futuro purché valide, aprono quasi tutto al bicchiere sempre che si possa rimanere in un range di 7-8 euro al bicchiere.
Nel Bistrot ai Colli, ci accoglie Eleonora De Venuti, Owner di questo delizioso Bistrot nella zona dei Colli Portuensi. Ci racconta di quante paure e timori hanno provato con la riapertura post lock down. Un grande aiuto è stato dato dalle consegne a domicilio visto che qui siamo in un grande quartiere residenziale nella zona sud-ovest della capitale. Votati ad una filosofia di grande rotazione nella carta vini, qui al Bistrot sono stati “aggressivi” acquistando subito importanti quantità di vino nonostante le difficoltà e le perdite economiche. In carta al momento non troviamo vini laziali ma solo perché li considerano ancora poco conosciuti: “Faccio molta rotazione quindi sicuramente li metterò anzi la mia volontà sarebbe quella di aumentarne la proposta ma trovo il comparto ancora molto timido, dovrebbe a mio avviso investire pesantemente in comunicazione. Come noi raccontiamo il vino ai nostri clienti anche il produttore dovrebbe aprirsi di più all’interno della filiera ho.re.ca”.
Girovagando in zona ostiense, ci fermiamo da Barnaba, che al grido di “preferiamo divertire spesso piuttosto che sbalordire ogni tanto…”, è diventato una certezza per il quartiere Aventino e non solo. Fabrizio che è l’anima di questo locale, da oltre 20 anni in questo settore, si innamora dello (e degli) Champagne verso la fine degli anni ’90: “In un vino cerco un prodotto che non deve mai perdere di vista il rapporto tra cosa berranno i miei clienti e quanto lo pagheranno”.
Sul mondo di vini laziali Fabrizio è ancora un po’ perplesso ma fiducioso: “Seguo la stessa linea che per gli altri vini, piccoli produttori onesti e sostenibili – cita Ge.Re.Mi di Ischia di Castro ed il loro Grechetto Rosso Tibu – le grandi etichette mi hanno un po’ stancato, la tradizione è determinante per il vino e credo molto nel concetto di terroir, di legame con un territorio dove la mano dell’uomo deve aiutare e non sovrastare. A mio avviso il Lazio vinicolo deve ancora convincere del tutto il mercato ho.re.ca. ma quando ci sono delle eccellenze sono il primo io ad investirci tempo e denaro”. Tra le cantine regionali proposte: Ciolli, Federico Artico, Abbia Nova con il Senzavandalismi fatto con la passerina, Ge.Re.Mi con Pian di Lance ed il Tibu (grechetto rosso), Milana con lo Zeronoveundici (cesanese), Podere Orto con il Lazio Rosso (un blend tra grechetto rosso, sangiovese e ciliegiolo).
Questo settembre Fabio (e il suo socio e chef Roberto), hanno festeggiato i primi 10 anni di attività dell’Osteria di Monteverde. “Sono stati dieci anni molto intensi e di grandi soddisfazioni ma anche preoccupazioni e stress soprattutto all’inizio – ricorda Fabio – e ora che andavamo davvero alla grande è arrivata la pandemia. Ci salviamo con la clientela di quartiere ma non basta”. Vistoso anche il calo del consumo di vino oltre a quello sul numero dei coperti (-70% nei giorni di punta fino al -90% in quelli infrasettimanali).
Per le scelte in cantina oggi si ragiona con piccoli ordini a produttori affidabili e non “esosi” dal punto di vista del prezzo. Nel 2015 voleva fare una lista di solo laziali ma poi desistè perché la percezione non era ottimale. Ora ne ha alcuni in cui crede molto anche se pensa che il Lazio debba crescere come sistema lavorando sulla qualità percepita e sul rapporto con il prezzo. I produttori devono dimostrare grande flessibilità per quanto riguarda le forniture, poiché da ora in poi si lavorerà con liste corte e magazzino essenziale. Tra i suoi preferiti in carta: Cantine Lupo di Campo Verde con il loro Terra Marique (vermentino), Azienda Carlo Noro con i suoi Cesanese, Merumalia, Coletti Conti e Ciolli. Cerca il connubio tra il valore del suo menu e le fasce di prezzo dei vini in carta: “Quelli troppo alti nel prezzo non sono funzionali al mio locale e non ci possono proprio stare”.
In conclusione, questa breve ma intensa carrellata (ci siamo smazzati un sacco di giri in scooter sotto il sole estivo e sotto la pioggia settembrina) ci ha fatto capire che la ristorazione romana, sebbene colpita al cuore dalla pandemia, stia cercando di reagire e di sopravvivere senza perdere però quello stile scanzonato che è un po’ tipico di questa città e dei suoi abitanti.
Con qualche sorriso abbozzato, infatti, nuove idee e nuovi progetti si stanno portando avanti per sostenere il business e sempre più spazio si sta concedendo proprio ai vini regionali seguendo e inseguendo gli slogan “tutto a km 0”, “tutto dalla mia regione”. O quasi. Non sono mancate, infatti, le critiche e gli scetticismi specie da chi chiede più qualità e meno fuffa, da chi vorrebbe essere maggiormente garantito dai produttori (e dai distributori) sulla costanza della qualità percepita dai clienti, nel prodotto che trovano in tavola.
Pochissimi sono stati i negazionisti tout court: la loro presenza dimostra, a nostro avviso, che vanno fatti ancora molti sforzi da parte di chi comunica il vino e dagli stessi produttori per completare la costruzione di questa nuova immagine del prodotto enologico laziale. Tutti devono sentirsi coinvolti, non solo il grande, il medio ma anche il produttore di nicchia! Tutti devono partecipare attivamente a questo processo di valorizzazione del comparto, compresi noi consumatori esternando di più a tavola o negli acquisti la nostra curiosità per i nuovi “local”.
Quindi…che vino laziale sceglierai stasera?!:-)