Ho conosciuto questa cantina solamente grazie all’esimio professor Leonardo Seghetti che, accogliendomi durante i suoi viaggi in periodo pre-vendemmia, oltre a donarmi una conoscenza straordinaria mi ha permesso di affacciarmi a situazioni che erano celate fino a quel punto.
Siamo arrivati nella piccola cantina di Spoltore, in provincia di Pescara, in tarda mattinata. Ad accoglierci abbiamo trovato Davide Febo e la sua splendida sorella Laura, due ragazzi giovani che incarnano quella che per me è la faccia più nobile dell’Abruzzo: gentilezza, grande cuore e spirito d’accoglienza. La cantina restaurata nel 2018, nonostante sia molto piccola, ha dei dettagli veramente curati a partire dalle redivive vasche in cemento dalle peculiari pareti bianche e rosse. Dopo un breve giro nelle vigne circostanti ci siamo seduti e, mentre assaggiavamo l’uva ed i loro tre piccoli gioielli (Trebbiano d’Abruzzo, Cerasuolo d’Abruzzo e Montepulciano d’Abruzzo) abbiamo avuto modo di scambiare qualche parola.
F. Quando è nata la tua passione per il vino?
D. Nella nostra famiglia il vino è sempre stato presente. Entrambi i nonni coltivavano i vigneti e per me era normale, durante il periodo della vendemmia, tornare a casa dopo scuola ed andare in vigna ad aiutare tanto quanto lo era respirare il profumo del mosto in fermentazione. In realtà non l’avevo mai preso in considerazione seriamente, fino ad un certo punto non mi ero mai reso conto di quanto fosse importante, effettivamente la svolta avvenne durante il periodo bolognese.
Finite le superiori decisi di andare a studiare a Bologna, fino a quel momento non avevo ancora in mente il vino, mi iscrissi alla facoltà di giurisprudenza infatti e fu solo per caso che decisi di partecipare ad un corso ONAV (corso da assaggiatori) e da lì iniziò una lenta metamorfosi. Successivamente ho proseguito con i corsi AIS ed anche grazie alle amicizie con altri produttori ed affini, createsi durante questo percorso, che ho iniziato ad approfondire e a confrontarmi con questo mondo.
A quel punto si accese una lampadina e mi dissi: “anche noi abbiamo i vigneti, perché non provare a fare qualcosa, perché non mettersi in gioco?!”. Col vino ci sono sempre stato a contatto ma, fino al quel momento, lo avevo visto solamente come una bevanda, il periodo di Bologna fu strategico proprio per questo poiché mi permise di incontrare le persone giuste al momento giusto e di capire quanto il vino potesse darmi.
F. Qual è la tua filosofia di produzione?
D. Devo precisare che noi abbiamo intrapreso questa attività innanzitutto per passione, io credo che un vino debba rappresentare un territorio, avere uno stretto legame con esso e riuscire a comunicarlo, ed è proprio quello che cerco di fare tutto l’anno. Non a caso è un’affermazione che viene rinnovata ogni giorno che lavoro perché, pur essendo una piccola azienda, abbiamo degli appezzamenti di terreno abbastanza variegati e tutte le scelte e le lavorazioni vengono fatte in base alle caratteristiche del terreno.
Io credo profondamente che il vignaiolo abbia il compito di assecondare quelli che sono i bisogni del vigneto, quello che – anche se sembra una cosa banale – la natura ci da. Io non faccio altro che monitorare i vigneti ed intervenire con una lavorazione del suolo specifica per ogni appezzamento, abbiamo vigneti a Spoltore ed a Chieti nei quali il terroir è molto diverso e di conseguenza le piante si esprimono a loro volta in maniera molto differente. Lo stesso tipo di cura delle diversità la eseguo anche in cantina, lascio che sia il mosto ad esprimersi.
Anche in questa vendemmia (2020 ndr) la terza che facciamo, siamo ancora in quella che si potrebbe definire una fase embrionale, cerco di lavorare al meglio facendo una cernita importante dei grappoli per vinificare solo i migliori. Siamo degli artigiani ed il nostro compito è quello di monitorare tutto il naturale processo che trasforma l’uva in vino (solo fermentazioni spontanee), avendo cura che in tale operazione la salute del mosto non venga compromessa. Da Giugno a Settembre passo le giornate in vigna osservando come la natura stia facendo il suo corso, e se proprio devo intervenire allora intervengo. Potrei dirti che siamo in conversione biologica, questo è il terzo ed ultimo anno, ma già mio nonno impiegava solo il letame per nutrire il terreno ed in realtà la chimica non si è mai utilizzata, la burocrazia purtroppo prevede un periodo di “conversione” anche se non si è mai usato null’altro che un po’ di rame e zolfo.
F. Se dovessi descrivere i tuoi vini con tre aggettivi quali sarebbero?
D. Il primo che mi viene in mente è: “autentico” e di questo sono fiero, mi piace molto che i miei siano vini autentici, non omologati. Prendiamo ad esempio il Cerasuolo 2018, è un Cerasuolo che fa parlare di se, non tutti lo condividono o apprezzano, qualcuno mi ha anche detto: “Ma che hai fatto?! Guarda che colore…quanto tempo hai tenuto le bucce a macerare?!” ma spesso è inutile spiegare che non l’ho tenuto a contatto con le bucce.
In annate particolarmente fresche come la 2018 il Montepulciano, che è un vitigno che mi piace paragonare ad una donna sofisticata che appena sente un pochino di stress idrico o un po’ troppo caldo immediatamente si ferma, è invece riuscito ad esprimere tutta la sua potenza. Nonostante sia estremamente felice del risultato e, appunto, dell’autenticità del vino sono costretto a volte ad incassare le critiche. Potrei dire la stessa cosa per il Trebbiano ed il Montepulciano, ma il Cerasuolo esteriora al meglio il mio pensiero.
Come secondo aggettivo mi piacerebbe definirli “Vivi” perché avendo seguito tutto il percorso li ho sentiti cambiare, evolvere, magari in alcuni periodi erano muti in altri più aperti proprio come una persona che in alcuni giorni può essere di cattivo umore. Senza precipitare nel romanticismo più smielato direi che io li tratto proprio come degli esseri viventi. Per il terzo aggettivo mi orienterei sul “sorprendenti”. Non vorrei essere frainteso, potrebbe sembrare che io stesso non mi aspettassi un risultato del genere o che siano frutto del caso, ma ogni volta che li assaggio nuovamente dopo un periodo di tempo in più passato in bottiglia, avendoli visti “crescere”, osservo la stupefacente evoluzione.
F. Secondo te, il tuo carattere si rispecchia nei tuoi vini?
D. Ti direi di si anche se questa è una risposta difficile da argomentare. Come ti dicevo proprio poco fa io considero i miei vini autentici ed in questa autenticità io mi ci rispecchio molto, io sono come mi hai conosciuto, così come mi vedi. Anche nelle scelte che ho fatto ho cercato il più possibile di seguire quella che, ad un certo punto, era diventata la mia passione e quello che volevo fare.
Adesso sembra banale dire: “ho lasciato giurisprudenza e son tornato a casa perché avevo i vigneti” in realtà non è stato così semplice ed immediato, è stato un percorso che è durato anni. Ho raggiunto delle consapevolezze e poi mi sono buttato in questa avventura con una marea di punti interrogativi, adesso sono felice ed orgoglioso di quello che sto facendo. Così come è successo nei miei vini: la prima vinificazione, fermentazioni spontanee e senza pied de cuve, non sapevo bene cosa sarebbe andato in affinamento e cosa ne sarebbe effettivamente venuto fuori. Adesso stanno pian piano uscendo, è il primo imbottigliamento e non avendo un’esperienza trentennale non riesco a tirare le somme delle scelte che ho fatto.
In questo mondo fare riferimento ad un periodo di tempo di 2/3 anni è come parlare di ieri o l’altro ieri. Ci sono tanti punti interrogativi oltre alle domande che uno normalmente si pone ed è chiaro che intraprendere un’attività del genere non è uno scherzo. Come il vino, che con il tempo migliora, spero anche io di poter arrivare a dire la mia. Le annate 2018 e 2019 hanno prodotto dei vini che inizialmente erano timidi, questa difficoltà di espressione semplicemente si risolve col tempo, quello che passeranno in bottiglia e quello necessario per farli aprire nel bicchiere.
Timidi come me, che faccio fatica a comunicare quando mi trovo in un ambiente nuovo, che poi in realtà è una timidezza apparente, infatti se sento di essere in una situazione familiare o se ho la possibilità, esprimo le cose che penso tranquillamente.
F. Qual è il fattore di qualità (sottosuolo, vitigno, esposizione etc..) che rende i tuoi vini unici?
D. In questo caso mi ricollego all’organizzazione aziendale, alla piantina. Questo è stato un po’ un gioco del destino perché i due nonni, e le generazioni precedenti, sono sempre stati agricoltori. Il nonno di Spoltore aveva le sue vigne ed iniziò a vinificare negli anni ’60, il nonno di Chieti invece, che ha una storia leggermente diversa, impiantò a sua volta i vigneti molto prima che i miei genitori si conoscessero. La cosa particolare è che i due nonni, in un punto preciso sotto la vigna qui a Spoltore, avevano 2 appezzamenti di terra confinanti nonostante quello materno avesse la vigna a Chieti.
Attualmente Famiglia Febo è effettivamente un’unione di due minuscole aziende agricole. Il fatto che i nostri sette ettari di vigneto siano disposti su quattro appezzamenti differenti: due a Chieti e due a Spoltore con entrambi gli elementi delle coppie distanti fra di loro un paio di chilometri, se da un lato crea delle difficoltà giornaliere nella lavorazione dall’altro ci da la possibilità di gestire vigneti con età, esposizione e terreni molto differenti. Le vigne di Spoltore sono esposte principalmente a Nord ed affondano le radici in un terreno di stampo argilloso, duro, direi ignorante e non eccessivamente fertile quindi il montepulciano acquisisce tanta struttura e colore. Chiaramente nelle annate più fredde o umide diventa difficile lavorarlo.
Al contrario a Chieti, dove generalmente abbiamo meno difficoltà, quando la stagione è calda e siccitosa la vite rischia di avere stress idrici importanti che non vanno invece ad intaccare il perfetto microclima di Spoltore. Ogni anno abbiamo la possibilità di vinificare uve da appezzamenti diversi e questa probabilmente è l’unicità ed il fattore di qualità. Nel 2017 abbiamo studiato la zonazione ma adesso ho capito che la mia forza sta proprio nello scegliere a quale vigna dare la precedenza.
F. Qual è stata la bottiglia di vino che ti ha cambiato la vita, quella che non scorderai mai?
D. Potrei rispondere citando una di quelle che ho stappato durante qualche degustazione, in realtà l’evento ce l’ho bene in mente, ma forse è una risposta che non ti aspetteresti, si tratta di una bottiglia di Trebbiano fatta in maniera totalmente artigianale. Altro non è che l’ultima vendemmia fatta con mio nonno, nel 2015. Da premettere che, nonostante fosse morto alla fine dell’anno successivo ad 89 anni, lui volle partecipare a tutte le vendemmie perché lo considerava un momento sacro. Chiaramente non aveva più la clientela degli anni precedenti, continuavano ad avere gente che veniva in cantina per acquistare il vino sfuso, ma molti lo facevano soprattutto per una questione di legame affettivo a questo posto.
Nel 2015 io ero ancora a Bologna ed iniziavo ad approcciare al vino, forse in maniera ancora confusionaria, quando a Settembre tornai a casa per dare una mano a mio nonno che ad 88 anni nonostante stesse ancora bene era ovviamente limitato nei movimenti. E’ stata la prima vendemmia alla quale ho partecipato e nella quale ho preso in mano la situazione, chiaramente abbiamo vinificato con vecchie attrezzature, la cantina non era stata ancora rinnovata. Quegli arnesi li ho dismessi e li ho riposti in un capanno, risalgono agli anni ’70 ed essendoci affezionato mi dispiaceva buttarli.
Ricordo che in quei giorni io e mio nonno vendemmiammo il Trebbiano, avevo già partecipato in passato, ma questa è stata diversa, non lo so…forse inconsciamente iniziavo a percepire quel tipo di lavoro con occhi nuovi. Facevamo solo lo sfuso ma, per curiosità o per ricordo, decisi di imbottigliarne qualche esemplare. Dopo alcuni mesi mi capitò di stapparne una, provai un orgoglio tale nel bere quella bottiglia di Trebbiano fatta in maniera artigianale, quasi senza un minimo di consapevolezza…probabilmente è stata una delle prime volte in cui mi sono detto: “forse voglio fare questo mestiere”. Non sarà una bottiglia da centinaia di euro, ma senza dubbio per me ha avuto un significato incalcolabile.
F. Cosa è cambiato con l’arrivo del Covid?
D. Il Covid ci ha travolto, come ha travolto tutti quanti, tutte le attività. Noi siamo usciti sul mercato a fine 2019 e poi ad inizio Marzo è scattato il lockdown, devo essere sincero, ovviamente è stato un colpo immenso per noi che avevamo appena messo il naso fuori dalla cantina e che cercavamo di entrare in questa filiera. Con la quarantena c’è stata un’interruzione netta e preoccupati ci siamo chiesti: “che cosa accadrà?”.
Dal post lockdown pian piano abbiamo ricominciato tutte le attività che erano , per forza di cose, in pausa. Non è semplice, perché è un’azienda nuova, un marchio nuovo, io provo tutto questo che ti ho detto perché ci lavoro. Quando vado, ad esempio, da un ristoratore non è facile trovare il tempo di raccontare o spiegare tutto quello che magari ci permetterebbe di essere notati, di trasmettere quel qualcosa in più che – in un periodo difficile come questo – potrebbe fare la differenza nella scelta delle bottiglie da mettere in carta. Il disagio è generale e puntare su un prodotto nuovo non è mai semplice. Fortunatamente ancora si trovano persone che hanno la voglia, la forza e la lungimiranza di voler scommettere su un piccolo produttore. Non bisogna scoraggiarsi, ci vuole costanza, perché poi le soddisfazioni arrivano ed io mi sento ottimista.
F. Quali sono le tue passioni al di fuori del vino?
D. Io in realtà, non lo sanno in molti, sono stato un judoka. Ho praticato judo fin da quando ero un bambino, ero un atleta, ci sono stati degli anni in cui ho partecipato ai campionati italiani. Mi è stato utile anche per sfogarmi, e ti dirò, ci sono dei principi in questa arte marziale giapponese che poi mi hanno formato. Mi piaceva gareggiare, l’agonismo, poi però a seguito di qualche problema fisico chi si è sommato anche ad altri motivi personali ho smesso. Ho suonato il pianoforte, ma quella forse non la definirei una passione. Lo sport in generale mi è sempre piaciuto ed è sicuramente una delle cose più presenti nella mia vita, prima dell’arrivo del vino c’era il judo. Banalmente ti potrei dire che mi piace molto il mare ma, da quando ho le vigne, l’estate praticamente non esiste più.
F. Su quale vino ti sarebbe piaciuto mettere la “firma”?
D. Io mi sto cimentando col Montepulciano che ha una forza, una potenza, che bisogna contenere ed imbrigliare per cercare di non far uscire un prodotto troppo “ignorante”, “arrogante” o con le spalle troppo grandi.
In un’altra vita, mettiamola così, se dovessi trovarmi a lavorare nello stesso settore mi piacerebbe mettermi alla prova con il Pinot Nero. Lo vedo come un vitigno totalmente opposto al Montepulciano, vive di delicatezza , di acidità, ha un’anima totalmente diversa.
Probabilmente è un vitigno molto complicato, che ha bisogno di pazienza e di tempo, che mi affascina e che mi piacerebbe approfondire.