I vini laziali partono alla conquista degli scaffali e delle tavole dei locali romani più gettonati. Chi avrà la meglio?
Nei locali romani si avverte moltissimo l’attaccamento ai grandi piatti della tradizione. Sia nei locali più chic che nelle trattorie più rurali, vengono spesso rivendicati esemplari di leccornie sempre verdi come i supplì o capolavori di veracità devozionale come amatriciana, carbonara e cacio e pepe.
Indipendentemente dal contesto è evidente che c’è molta voglia di valorizzare la materia e la ricetta locale in chiave gourmet o strettamente fedele all’originale.
Fatta questa doverosa premessa, viene spontaneo chiedersi se altrettanta attenzione viene dedicata al bere a cosiddetto “chilometro zero”.
In effetti, sarebbe bizzarro sedersi in un bistrot in Friuli e trovare in carta una maggioranza di vini Piemontesi.
Quindi quali sono i fattori che vengono presi in considerazione quando si compone una lista di vini al bicchiere? Il tipo di locale, il cibo, il contesto, il prezzo?
Domandarlo ai diretti interessati è stato veramente irresistibile. Nella prima parte dell’inchiesta, sono stati messi in evidenza i proprietari e gestori di locali che del prodotto territoriale ne hanno fatto una vera e propria mission. Alcuni sono addirittura vignaioli, altri sono imprenditori e credono nella promozione regionale, ma il vino lo lasciano fare agli addetti ai lavori.
La scelta è ricaduta principalmente sui locali che sono i grandi protagonisti del bere e mangiare bene a Roma.
Chi sono i pionieri della crociata del territorio? Che da sempre credono che faccia bene a tutti far conoscere i vini del Lazio? Ai margini alti della classifica troviamo sicuramente l’enoteca Trimani.
Nel locale si dà grande libertà ai clienti di bere in mescita quello che desiderano, forti della grande offerta che hanno a disposizione. Inoltre, se si consuma in loco, non viene aggiunto nessun ricarico rispetto al prezzo di enoteca.
I Trimani si sono impegnati da sempre in prima persona per valorizzare i vini del Lazio. Hanno portato avanti questa idea tant’è che hanno acquistato un’azienda vinicola (Colacicchi) ad Anagni e sono anche un punto d’affezione FIVI. Hanno contribuito anche al progetto “Distretto del Cesanese” per portare avanti le 3 denominazioni del Cesanese.
Per quanto concerne la promozione dei vini Laziali, pensano che “Roma sia una piazza particolare, in cui attualmente sembra smuoversi qualcosa ma che, allo stesso tempo, Roma sia stata la forza e la debolezza stessa del Lazio”. “Perché se vieni nel Lazio a visitare Roma, probabilmente non vai a visitare Anagni che è molto bella ma il turismo romano per forza di cose, assorbe tutto”.
“Nel Lazio non è mai stato richiesto di dedicarsi alla qualità. Da poco tempo, si cominciano a vedere i vini di questa regione nelle carte dei vini dei locali importanti. (Fiorano, Habemus, Mater Matuta).”
Nel loro outlet spesso arrivano dei turisti e Francesco spiega quant’è ancora difficile far capire la differenza tra Langhe e Lazio.
“Tutto sommato – conclude – c’è sempre più gente competente che cerca vino territoriale. In effetti è un po’ un ritorno al passato perché le vecchie osterie, vendevano esclusivamente vino locale. Il vino è l’unico trasporto virtuale che ti porta direttamente dalla zona di produzione alla tavola. Collega tavolo-vigneto. Soprattutto è importante valorizzare i piccoli produttori che non hanno accesso ai grandi canali di distribuzione”.
Sempre in cima ai divulgatori del bere locale si colloca Baccano. L’abito non fa il monaco.
Il locale è in stile ostricheria/bistrot francese, nonostante ciò, molta attenzione è posta verso l’offerta vino italiano. In carta c’è una pagina intera dedicata ai Vini del Territorio ovvero “bianchi e rossi rappresentativi della nostra Regione, per imparare a conoscere e approfondire i vini e le cantine del Lazio (compresa verticale di Habemus, e produttori grandi e piccoli). Da Vini Federici-Santa Apollaria (Zagarolo), Stefanoni (Montefiascone), Casale Cinque Scudi (Aprilia) a Tenuta Falesco (Montecchio), Principe Pallavicini (Castelli) ecc.
In mescita ci sono i vini di Principe Pallavicini a 6 eur bianco e rosso.
La carta dei vini viene presentata a gran voce con una chiara dichiarazione di intenti: “Il mio desiderio è quello di farvi bere bene, ci sono nuovi vini che mi hanno proprio entusiasmato e spero tanto possiate goderveli anche voi, perché, questa la grande gioia del mio mestiere”.
Anche Bulzoni nel cuore dei Parioli è enoteca e vigneron, inevitabilmente incentiva la consumazione di vini territoriali con etichetta propria (unica referenza laziale in mescita).
Bulzoni è un locale storico ai Parioli, nato come enoteca, poi evolutosi in cucina ed enoteca.
La cucina è piuttosto semplice, non ha un tema specifico. Per quanto riguarda il vino, sono molto orientati verso quelli naturali che racchiudono in una sezione a parte, preferendo definirli vini artigiani.
L’enoteca è anche piuttosto fornita in merito ai vini convenzionali. Sponsorizzano molto la produzione propria di vini che è composta da un rosato ed un cabernet senza solfiti che fa fermentazione spontanea (producono anche un bianco rifermentato in bottiglia, al momento non presente).
Al bicchiere le uniche referenze laziali sono le loro etichette Bulzoni, vino prodotto in Sabina: il rosso è un Cabernet ed il rosato un Sangiovese. La mescita si aggira sui 5/6 eur, 10 per il metodo classico.
Strepitoso il Sig. Giacomo Lobianco di Matricianella che rivendica di non avere una vigna e pertanto di non potersi produrre il “vino della casa”, il suo motto è A bottega stacce alla vigna vacce perché reputa il mestiere dell’oste e del vignaiolo compatibili fino ad un certo punto.
Detto ciò, in questo storico locale di Roma, la cucina è verace e l’abbinamento locale è prioritario. I clienti sono piuttosto affezionati e si fidano dei consigli. Ogni giorno offrono tre piatti consigliati e relativo abbinamento. Da Matricianella vengono proposti con entusiasmo gli abbinamenti tradizionali tipo abbacchio col cesanese.
Fino all’anno scorso avevano una carta del Lazio e una carta d’Italia. L’hanno formulata all’inizio per valorizzare i vini del territorio, ma sono stati costretti a toglierla perché i clienti erano scoraggiati a leggere il grande librone (dei vini nazionali) e siccome avevano anche verticali di grandi blasoni lo ritenevano un peccato. Sono convinti che ci sia ancora molto preconcetto e pertanto fanno spesso provare vini regionali per far ricredere i clienti. La cosa fondamentale per loro è capire cosa vuole bere un cliente ma anche quanto vuole spendere. Un passe-partout per chi non vuole spendere è il Canaiolo Trappolini (Tuscia) o il Sogno di Sant’Andrea (Circeo). Oppure leggermente superiore consigliano il Baccarossa Poggio Le Volpi (Castelli) o anche selezione top San Giovenale Habemus (VT).
Una cosa che fa arrabbiare molto il proprietario è chi ancora chiede il vino della casa. Trova orrida la tradizione di chiedere il vino sfuso perché è “old fashioned” e odia chi si fa produrre il vino per poi apporre l’etichetta del locale.
Pipero è sicuramente ambasciatore della Carbonara, che ha da tempo acquisito un appeal di tutto rispetto. Ma cosa ne pensa Alessandro Pipero? Le etichette laziali sono altrettanto all’altezza?
“Con la Carbonara (pluripremiata ormai da tempo) come piatto simbolo del locale, viene da sé che i vini laziali siano molto apprezzati e spesso sono i clienti stessi, quelli stranieri in particolare, a richiedere questo tipo di abbinamento”.
Nella carta dei vini si cerca di puntare sia sui vitigni regionali autoctoni (il grechetto, la malvasia puntinata ed il cesanese) che su quelli internazionali. La partecipazione a fiere di settore e agli eventi di degustazione rappresentano i momenti in cui assaggiare nuovi vini; quando è possibile è anche utile e divertente andare ad assaggiarli direttamente in cantina e conoscere i produttori.
“Il loro racconto può diventare determinante nella scelta di un vino”. Pur consapevoli che il Lazio ancora non goda di un appeal simile a quello ottenuto da altre regioni italiane più blasonate, sia Alessandro che il suo maître, investono molto del loro tempo nel raccontare e proporre questi vini ai clienti.
Per Alessandro, in conclusione, deve essere fatto ancora un lavoro di comunicazione importante, sia da parte dei produttori di vino ma anche dai ristoratori per far crescere il consumo del prodotto laziale.
Alla Santeria di Mare e bistrot tutto è molto ben comunicato. Molto chiaro il progetto nato 3 anni fa.
Il locale presenta due tipologie di offerte: il bistrot con un menù più terrigno da ravioli, polpette e piatti fusion, seguito poi da la santeria di mare con menu 100% pesce, fritture, carpacci ostriche e co.
Per via del tema del menu, in mescita c’è ampia presenza di bollicine Italiane e champagne, e sebbene a loro piaccia moltissimo far viaggiare metaforicamente gli ospiti c’è anche molto interesse per i vini regionali. Sponsorizzano con piacere Carlo Noro, Riccardi Reale (Olevano), Colicchio (castelli romani), la Torretta (castelli), Podere Orto (VT) e tengono moltissimo a far emergere la parte artigiana del Lazio.
Checchino (Francesco, Marina, Elio) esistere e resistere
Francesco Mariani insieme alla sorella Marina ed al fratello Elio rappresentano la 5^ generazione di ristoratori di questo locale storico di Testaccio fondato nel 1887.
“Era il tempo dei fagottari e del nascente Stato italiano – racconta Francesco – il locale era nato come Osteria dove il cliente affittava il tavolo portando con sé il suo fagotto con il cibo già pronto”.
Poi è arrivata la “clientela importante” e da qui la scelta di mettere in carta i vini francesi e di abbinarli alla cucina romana. Siamo negli anni ‘50 ed il padre di Francesco aveva già 5 vini francesi in carta che per un’Osteria dell’epoca era “davvero tanta roba”. I rossi del Bordeaux sulla coda alla vaccinara e lo Champagne sugli zampetti.
Da romani de Roma, i fratelli Mariani tengono in grande considerazione i vini del Lazio: “Seguiamo molto la crescita del comparto e abbiamo gioito alla notizia della creazione della DOC Roma. Se i vini hanno il giusto ricarico ci piace proporli alla clientela storica e anche a quella nuova”.
Omina Romana, Colli Picchioni e Fiorano tra i più apprezzati, ma anche Casal Pilozzo con le sue Malvasie Puntinate storiche, per citare alcuni considerati “affidabili” secondo il giudizio di Francesco.
“Noi ristoratori ed operatori del settore dobbiamo sicuramente investire sul prodotto Lazio perché è sicuro il ritorno con la clientela, ma occorre anche una maggiore coesione tra produttori e poi tra noi e loro. Dovremmo fare tutti più sistema all’interno della catena, aiutarci per far conoscere le eccellenze laziali”.
Da Armando al Pantheon c’è sempre stata una grande voglia di presentare i prodotti del territorio e questa è una filosofia che si rivolge sia ai prodotti usati in cucina che per la parte enologica.
Fabiana Gargioli, terza generazione da Armando, insieme a sua sorella Chiara e alla cugina Giulia si occupa ormai da anni accoglienza, di vino e molto altro.
La Carta dei Vini di Armando predilige i piccoli produttori. “Abbiamo diverse referenze per quasi tutte le regioni d’Italia ed io conosco personalmente quasi tutti i produttori. Prima si capisce come lavorano in vigna, poi che tipo di persone ho di fronte e se nasce l’empatia, come ho la possibilità ed il vino mi piace, lo inserisco nella lista”, racconta Fabiana.
“Si dà la possibilità ai nostri clienti di avere anche una scelta tra vini convenzionali e vini naturali. Abbiamo escluso i vini di altri territori perché ci piace dare precedenza alla nostra Nazione, unici vini esteri gli Champagne che fanno storia a sé. La mia prerogativa è quella di indirizzare gli acquisti soprattutto ai vini del Lazio, visto che sono tra i più richiesti da Armando.
Tra i vini in mescita della regione figurano: Cantina Migrante con il Cesanese Terre Olibane, Casale Certosa con il Luperco, Casale della Ioria con il Torre del Piano, Castel de Paolis con il Frascati Superiore e Abbia Nova con la Passerina del Frusinate.
“I nostri clienti devono essere un po’ indottrinati perché i vini del Lazio sono rimasti per troppo tempo nell’ombra rispetto a quelli delle altre regioni. Bisogna avere la capacità e la voglia di consigliare i clienti che spesso ci danno fiducia e rimangono soddisfatti delle bevute. Anche noi come i produttori dobbiamo fare la nostra parte nell’aumentare la comunicazione del vino laziale, specie con i clienti scettici e meno curiosi. Quando poi si ricredono positivamente, ci danno molta soddisfazione. In futuro vorrei ampliare sicuramente i laziali in carta, mi piace fare degustazioni insieme al mio collega Diego che ama molto il suo territorio vitivinicolo. Alle piccole fiere faccio gli assaggi e se un vino provato mi rimane impresso contatto il produttore”.
Tra gli areali su cui puntare Olevano, Piglio, Ponza, Tarquinia, Monteporzio Catone, per un trend del comparto sicuramente in crescita nel prossimo decennio.
La crociata Romana prosegue, fino al prossimo “duello con i ristoratori romani…