“’74 is the new 24” è un brano presentato da Giorgio Moroder – produttore discografico e compositore – in concomitanza con l’annuncio del suo primo album in studio dopo trent’anni. Lo stesso compositore italiano ha spiegato che non importa se hai 74 anni o 24 perché 74 è il nuovo 24, da qui il titolo della canzone. A nessuno interessa se la 1985 è migliore o come l’annata 2016, l’importante è che sia grande.
L’annata 2016 è stata senza dubbio una bella vendemmia, ma non perfetta in tutta Italia. I vini atti ad evolvere nascono da basi dove l’acidità è superiore, da qui personalità e eleganza stilistica. Dove le riserve idriche necessarie per i mesi più caldi è stata sufficiente i risultati si sono visti.
Ma facciamo un passo indietro e proviamo a paragonare le due annate sotto il mero profilo meteorologico senza comparare le varie regioni vinicole italiane, ma cercando di capire cosa è realmente accaduto in Italia in questi due anni.
1985: Gennaio è il mese più freddo del secolo, grandissime nevicate ovunque. La prima parte della primavera e giugno compreso sono mesi abbondantemente sotto la media stagionale. Luglio, agosto e settembre senza acqua. L’autunno è mite e il mese di dicembre ancora gelido. Tra gli anni più rigidi se non il più rigido del secolo. Quindi parliamo di un anno secco ma con scorte idriche arrivate sostanzialmente dalla grande nevicata. Insomma un anno con tutte le sue stagioni ben distinte.
2016: Meno bollente della 2015 ma il sesto anno più caldo in Italia dal 1960. L’inverno è estremamente caldo, tuttavia l’aspetto più rilevante del 2016 è stato forse la persistenza di condizioni siccitose, parzialmente alleviate dalle piogge primaverili. La seconda parte del 2016 è stata caratterizzata da periodi prolungati di carenza o addirittura assenza di piogge su diverse aree del territorio nazionale che, a fine anno, hanno riportato le risorse idriche generalmente su livelli molto bassi.
Ma perché si sente parlare spesso di queste due annate e perché vengono accostate? Semplice: se ne parla, anzi se ne straparla, principalmente a causa di un vino: il Sassicaia del Marchese Incisa della Rocchetta che – in ambo le annate – si è fregiato del titolo di miglio vino al mondo aggiudicandosi i 100/100 da Robert Parker, il critico americano di «Wine Advocate».
Dopo 34 anni, quindi, il Sassicaia conquista di nuovo il podio mondiale dei rossi, almeno per Parker. È la prima volta che un vino italiano ottiene due volte il riconoscimento. A degustarlo è stata Monica Larner, la critica di «Wine Advocate» per l’Italia.
Racconta Monica: «Il Sassicaia 2016 è un vino di successo. L’ho assaggiato più volte e il meritato punteggio di 100/100 è stato assegnato con entusiasmo alla conclusione di un mini verticale tra la 2016 e la 2015 (a cui ho dato 97/100). Due delle migliori annate, simili, con lunghi e caldi mesi estivi che hanno alimentato una stagione di crescita prolungata. Il 2016 leggermente più piovoso: in termini analitici questa annata ha un po’ più di acidità. L’annata 2015 è esuberante, rotonda, succulenta e immediata, mentre la 2016 mostra nitidezza e precisione. La grande acidità lo porterà a lungo nel futuro col suo lento corso evolutivo. Questo vino ha un sapore netto di mora, ciliegia matura, erbe grigliate e spezie. I sentori fluiscono dal bicchiere in un flusso continuo e sono tutti contrassegnati da intensità radiante. La sensazione è lunga e persistente. La freschezza della spina dorsale tannica del vino si bilancia perfettamente con la profondità dei sentori di frutta. A mio parere, il Sassicaia 2016 si erge vicino all’epica annata 1985 che è stata il punto di riferimento definitivo per il vino italiano»
Sassicaia a parte, la 1985 è stata certamente una grande annata per il vino italiano, ma è un errore paragonare queste due annate? Perché due vendemmie così distanti come caratteristiche hanno dato – a detta di molti – prodotti simili?
Racconta Parker: “il Sassicaia 1985 è il vino che più mi è piaciuto in assoluto nei miei 37 anni di carriera: l’ho riassaggiato in 25-30 occasioni, ed ogni volta è un grande onore”. Uno di quei vini che, secondo Parker, hanno portato l’Italia ai livelli della Francia.
Le mie sono ovviamente provocazioni, non posso certamente trarre conclusioni in questo momento. Una riflessione a voce alta però si può fare: non è che i vini difficili, quelli atti a divenire grandi, diventano mitologici e rimangono impressi nella memoria perché abbiamo avuto la capacità, la fortuna oltre alla pazienza di riassaggiarli più volte durante la loro l’evoluzione?
E’ necessario anche per questo 2016 aspettare ancora anni? Come racconta Parker, il primo sorso delle 30 bottiglie bevute in questi anni è stato differente dall’ultimo; la somma dei 30 assaggi l’ha portato ad essere, per lui, il più grande vino in assoluto.
Siamo sicuri che la vendemmia 2016, con tutti i cambiamenti climatici, possa effettivamente avvicinarsi alla 1985 nonostante il differente impatto climatico?
Non si possono dare risposte certe a queste domande: il tempo sentenzierà. Magari ne riparleremo tra 30 anni