Cinque lettere, che a leggerle così potrebbero suonare come un imperativo in “prima persona”, una coniugazione iussiva che vuole sancire la chiara e ferrea volontà di venire al mondo.
Un destino, un karma per questo vitigno sull’orlo dell’oblio (e dell’estinzione) che con pazienza e tenacia (tipica della natura e delle persone di questa meravigliosa isola) ha atteso il momento di essere riscoperto e rimesso al centro di un ecosistema e di una comunità.
STORIA…
Il nasco è uno fra i vitigni più anticamente coltivati in Sardegna, noto anche con i sinonimi dialettali “resu” e “ogu de arrana”.
Il nome deriverebbe dal termine latino muscus, utilizzato per descrivere il caratteristico aroma di muschio del vino affinato, secondo quanto riportato sia da Acerbi che da Mameli. Questo fa presupporre che il vitigno fosse conosciuto già al tempo dei Romani anche se non si può stabilire con precisione scientifica se essi lo ereditarono dai Fenici o se invece lo introdussero da altre zone. Prendendo per buona questa ipotesi, si è portati a pensare che furono proprio i Romani ad allevare il nasco, nella zona portuale di Karalis (Cagliari).
Molti noti autori, data la estrema incertezza delle origini, sono arrivati alla conclusione che esso costituisca un vero e proprio ecotipo, cioè una varietà originatasi in loco in tempi remoti.
Tracce più recenti uniscono il percorso del nasco con le alterne vicende della viticoltura sarda almeno dal tempo dei Giudicati: un’organizzazione amministrativa simile al Feudalesimo ma con diverse assonanze con gli istituti giuridici romano-bizantini, sviluppatasi in Sardegna tra il IX e il XV secolo.
Doveva essere di certo abbondantemente coltivato all’epoca della massima espansione viticola sarda, toccata alla fine dell’Ottocento, visto che il nasco era presente all’Esposizione Universale di Vienna del 1873 come valido rappresentante dei vini tipici della Sardegna e nelle “Notes sur l’Industrie et le Commerce du vin en Italie” pubblicate a Roma nel 1889 dalla Societé Generale des Viticulteurs Italiens a Rome, si cita il “Nasco” come “uno tra i più rinomati vini speciali che dall’antichità hanno contribuito a rendere celebre la produzione vinicola di Sardegna”. La sua grande diffusione in quel periodo storico era dovuta soprattutto al considerevole tenore zuccherino che ne consentiva una facile vinificazione in vini dolci.
Nei primi decenni del secolo scorso, si è assistito ad una forte erosione del patrimonio genetico di tutte le varietà autoctone dell’isola, nasco compreso. Nei vigneti di nuovo impianto si piantavano solo pochi cloni con caratteristiche di elevata produttività, selezionati senza particolare attenzione ai caratteri di qualità, mentre in anni più recenti i contributi statali all’espianto hanno portato alla rimozione dei vigneti più vecchi dove erano ancora conservati biotipi e varietà minori.
Il vino sardo, fino a 3 decenni fa, non aveva ancora un mercato tra i vini di qualità, mancava di un’identità che lo qualificasse e veniva principalmente venduto come sfuso, subito dopo la fermentazione. Intorno alla metà degli anni ‘80, di fronte alla grande crisi del mercato del vino sfuso, il trend finalmente si inverte portando luce all’interno de tunnel. Partono diversi progetti con lo scopo di caratterizzare il patrimonio ampelografico delle varietà sarde e comprenderne le reali potenzialità enologiche: un laborioso ed attento lavoro di recupero dei biotipi nelle diverse aree della regione.
Tra tutti è utile ricordare il progetto SQFVS: un salto di qualità della filiera vitivinicola della Sardegna, realizzato nell’arco di tre anni con il contributo della Regione Sardegna e la partecipazione di realtà produttive molto differenti tra loro per storia, volume d’affari e struttura aziendale, che hanno contributo a svolgere il ruolo di “pioneer”, sensibilizzando e stimolando successivamente tutto il comparto.
L’idea cardine: realizzare vigneti sperimentali dove collezionare (centinaia) di biotipi delle varietà autoctone dell’isola che stavano lentamente scomparendo. Ricorda Mariano Murru, storico enologo della cantina Argiolas e allievo di Tachis: “Tradizionalmente il Nasco veniva lasciato sulla pianta per la produzione di un vino passito, ma si trattava di produzioni poco più che familiari e in tutta l’isola non erano rimasti che poche decine di ettari. Il nostro lavoro è stato quello di raccogliere tutti i biotipi e moltiplicare quelli più interessanti. Tra questi, oltre a quelli spargoli e adatti all’appassimento, abbiamo selezionato dei biotipi più adatti alla produzione di un vino bianco secco fermentato per una piccola parte in barrique con una destinazione del tutto nuova per questa varietà”.
Nasce così l’Iselis bianco, uno dei più noti portabandiera del Nasco secco in purezza.
IL TERRITORIO
Gli areali storici di questo vitigno ricadono in tutto o in parte nelle province di Cagliari, Medio Campidano, Carbonia-Iglesias e Oristano, anche se in effetti la maggior parte della produzione viene realizzata nell’area metropolitana di Cagliari (comuni di Quartu, Maracalagonis, Dolianova, Selargius, Sinnai, Soleminis).
La zona di produzione della DOC Nasco di Cagliari è assai complessa e variegata dal punto di vista geologico, pedologico e degli ecosistemi correlati, avendo origini antiche che risalgono al paleozoico, era geologica in cui si è formato il nucleo granitico metamorfico della zolla sardo-corsa. Questo insieme di rocce affiora ora in gran parte dell’isola, risagomato dal tempo, dalle forze tettoniche e dai processi morfologici in rilievi arrotondati, altopiani, valli ampie o incassate e coste frastagliate o lineari. Sedimenti marini, magmi e detriti provenienti dallo smantellamento dei rilievi preesistenti si alternano a colate basaltiche del vulcanismo sardo.
I suoli ricadenti nell’area geografica di coltivazione del Nasco di Cagliari riflettono questa complessità e pertanto sono estremamente vari come genesi, caratteristiche, proprietà e distribuzione con grandi accumuli di argille, ferro, ossidi e carbonati. Il regime di umidità del suolo è quasi sempre xerico (secco e arido), questo fa si che i terreni a base calcarea risultino sempre molto caldi per gran parte del ciclo vegetativo della vite favorendo le concentrazioni delle sostanze negli acini.
E’ possibile rinvenire due tipologie di clima molto affini:
- clima sub-tropicale: investe tutta la fascia meridionale dell’Isola, che parte da Fontanamare nel Sulcis, comprende Cagliari ed il suo Campidano, le isole di S. Pietro e di S. Antioco, per giungere a Muravera nel Sarrabus. In tale zona, le precipitazioni annue sono inferiori a 700 mm, la temperatura media annua è superiore a 17°C. Nelle zone con questo clima, la vite prospera e produce abbastanza bene sotto il profilo quantitativo.
- clima temperato caldo: domina il Campidano centrale e la Valle del Tirso. La temperatura media annua che vi si riscontra non scende al di sotto di 15°C e le piogge annue non superano gli 800 mm.
IL VITIGNO
Il vitigno nasco è molto apprezzato per le sue qualità aromatiche e a questo deve la sua riscoperta di questi ultimo decennio, anche se la sua fama è ancora molto circoscritta alle zone di produzione. Dal punto di vista ampelografico, il vitigno presenta grappolo di medie dimensioni con forma cilindrica e bei colori dorati, bacche sferiche di dimensioni medie, una buccia molto fine con basse concentrazioni di pruina. Classificabile tra i vitigni aromatici, il nasco viene coltivato con i sistemi corti quali l’alberello latino (ovvero senza sostegni) e potato con il sistema Guyot.
Al fine di studiare meglio le evoluzioni e le differenze spesso oggi vengono tentate tecniche di appassimento del nasco diverse dalla naturale, ovvero quella condotta sempre in campo ma con taglio del capo a frutto e quella svolta in una cella in condizioni controllate di areazione e umidità. È un vitigno vigoroso e mediamente resistente, con rese basse ma costanti.
IL VINO
Il vino può presentarsi con un elegantissimo e caldo colore di ambra e topazio, la consistenza spessa, i profumi straordinariamente intensi e avvolgenti di miele, frutta stramatura, datteri, fichi, arancia candita, note di mandarino e mughetto, erbe officinali, mango e con un finale di essenze di macchia mediterranea.
In bocca è chiaramente morbido, dal sorso pieno e dal corpo vellutato ma con una vena decisamente marina, sapida e saporosa, che caratterizza il terreno caldo e calcareo degli areali di eccellenza. Decisamente alcolico, con gradazioni naturali tra i 14,5 e i 17%, il nasco viene vinificato anche liquoroso secco e Riserva con gradazioni ancora maggiori, mentre nel IGT Sibiola è assemblato al Vermentino sempre nella tipologia secco.
Dal 1972 è riconosciuta la Denominazione di Origine Controllata Nasco di Cagliari.
UN ASSAGGIO DI….
Montesicci 2018 – Azienda Dolianova 14,5%
Dopo una macerazione a freddo sulle bucce per una notte, il mosto è fatto riposare per 12 ore a bassa temperatura per poterlo chiarificare delicatamente. Inoculo con lieviti selezionati e fermentazione a 14°C per 14 giorni circa. Un travaso dopo la fermentazione permette di iniziare al periodo di affinamento a contatto con le fecce nobili per tutto il periodo che precede l’imbottigliamento.
Un bel calice ambra dorato prepara a dei profumi eleganti e complessi con note di spezie dolci, fiori passiti e gradevoli richiami di frutta secca tostata, albicocca disidratata e miele. Al palato si presenta pieno e gustoso, leggermente spostato sulle morbidezze e ri-bilanciato in parte da una piacevole sapidità con un finale delicatamente ammandorlato. La persistenza marina ci sta e regala un sorso ricco e piacevole.
Iselis 2018 – Azienda Argiolas 14,5%
L’Iselis Nasco in produzione dal 2015, sostituisce l’Iselis Bianco, un Igt dove c’era anche vermentino in piccole percentuali. Vendemmiato a mano nelle prime ore mattiniere a settembre da viti in terreni provenienti da sedimenti calcarei-marnosi, allevate a guyot col sistema della lotta integrata. Il 5% del mosto fermenta e si affina su piccoli fusti di rovere francese di secondo passaggio ma senza fare malolattica.
Versato nel calice il colore è un bel giallo tendente al dorato. Molto interessante l’olfatto dove il fruttato trova poco spazio (per lo più polpa gialla e frutta tropicale) ma maggiore ampiezza viene lasciata ai sentori vegetali ed erbacei come il fieno asciutto e i fiori gialli di campo. In bocca denota una sua dinamica personalità: alcolicità e morbidezza glicerica si alternano ad una vena acido-sapida che non prende mai il sopravvento ma che rivela la sua natura calcarea e marina.
Altea Bianco Sibiola IGT 2018 – Azienda Altea Illotto 14%
Altea Bianco è un vino ottenuto esclusivamente da uve nasco (90%), vermentino e nuragus (10%) dai vigneti situati nella zona di Serdiana; prima uscita anno 2000. Dopo la permanenza per 6-7 mesi in piccole vasche d’acciaio sui lieviti viene lasciato riposare in bottiglia per alcuni mesi prima della commercializzazione.
Si mostra nel calice con un’accattivante veste brillante giallo dorata molto intensa, al naso è un tripudio di frutta (pesca gialla e agrumi) e fiori (zagara su tutti) con una lieve nota di muschio e macchia mediterranea (rosmarino e lentisco) ed un crescendo minerale quasi salmastro su un fondo elegante di agrumi maturi. In bocca la freschezza cede un po’ a favore di una maggiore morbidezza, è marino e ha un finale piacevole di mandorle e nocciole tostate. Qualche nitido richiamo di ginestra nella retrolfattiva nel poco spazio lasciato dalla permanenza alcolica. In definitiva mostra un discreto equilibrio pur non avendo grandi margini per ottenere una maturità e una complessità espressiva maggiore fra qualche anno.