Ci siamo!
Dopo un anno di attesa, finalmente quel giorno è arrivato!
Il giorno dove pensi di lasciare tutto alle spalle, chiuso dietro la porta di casa, anche se solo per una o due settimane. Ma quell’aria di libertà e felicità ti inebria le narici e lo spirito. Valigie pronte già da un paio di giorno, tempo di mettere le ultime cose e poi ecco a sederci sopra per chiuderle definitivamente…. Si fa per dire… solo per la durata del volo. Un anno intero di attesa, di preparativi, di programmi, di cambi e di ritorni.
Il momento di staccare la spina, di lasciare tutto il vissuto di un anno a casa, scrollandolo dalle spalle. C’è chi lo traduce in costume, salviettone e crema. Chi invece in scarponi, pantaloncini e bacchette. Ad ognuno il suo, il bello dell’esser diversi è proprio questo! Ma il punto in comune è sempre solo uno: la libertà. Allora via: si chiude casa, si arriva in aeroporto e… si vola: Lanzarote!
Arrivati, tutto profuma e splende di più, tutto ha quel luccichio diverso. Si attendono le valige, si prende la macchina e via verso l’hotel/appartamento. Il panorama che circonda suona ammaliante, nuovo e diverso, tra terre nere montagne rosse e assenza di alberi, solo cactus e palme. Unico punto simili è l’asfalto, uguale ovunque. Ma ecco che succede qualcosa di inaspettato, qualcosa che non avevi messi in conto. C’è qualcosa di diverso, strizzi gli occhi, vedi delle buche, profonde e nere, terra nere, con all’interno qualcosa di verde e di vivo che fuoriesce a malapena. Non riesci a capire, forse perché non vuoi capire, finché la vedi. Ma non è possibile, non qui e non in questa terra così nera, tanto ventilata, difficile e a volte aspra.
In queste buche c’è la vite! Si la vite, la pianta arrampicante produttrice di quel frutto capace di creare il liquido d’orato tanto caro a bacco.
Senza parole, un momento che aveva dell’incredibile. Fin quando il giorno dopo decidi di rivoluzionare tutti i tuoi programmi di mare, di surf e di classico turista, già stabiliti senza ricordare più da quanto. Perché da quella visione, come un’oasi nel deserto, ti rimane un tarlo nella testa. Quel ronzio fisso: il desiderio di saperne di più.
Ti trovi così a gironzolare per le strade assolate, fermando la tua auto sul ciglio della strada qua e la, per poter capire, guardare e ammirare cosa la natura – sotto la guida silenziosa dell’uomo – è stato in grado di fare. Posto in cui l’uomo è riuscito a trasformare l’eruzione del Timanfaya dal 1730 al 1736, evento catastrofico, in una eredità unica nel suo genere. Un sistema di coltivazione che ha dell’incredibile: le viti si trovano all’interno di grandi fosse dalla forma di imbuti, lungo questa infinita distesa di lava – il suolo si trova alcuni metri sotto – protette da muretti a secco circolari o semicircolari, che fungono da barriera per i venti Alisei, pur facendo passare l’umidità che di notte arriva dall’oceano penetrando fino alle radici delle piante.
Dopo questo spettacolo per gli occhi, di una struttura quasi alveolare, l’arrivo della sete è inevitabile. La gola diventa arsa per la curiosità di quello che questo terroir possa donare di emozioni liquide.
La prima porta aperta è stata quella de El Grifo – la più antica azienda vinicola nelle Isole Canarie e tra le dieci più antiche in Spagna – fondata nel 1775, proprio a ridosso dell’eruzione durata 6 anni, arrivati oggi, alla quinta generazione delle famiglie che hanno posseduto l’azienda fin dalla fondazione. Gli ettari sono 60 di vigne di proprietà, oltre all’acquisto di uve da circa 300 viticoltori della zona, e una produzione di 700 mila bottiglie all’anno per il 70% bianchi da Malvasia volcánica, per il 25% rossi soprattutto da Listán negro e un 5% di vini dolci a base Moscatel e Malvasia volcánica. Si, perché sono questi i vitigni coltivati in questa splendida isola, tutti pre-fillossera, in cui le attività vengono svolte in maniera manuale. La raccolta, ad esempio, avviene a luglio in casse da 20kg ed inizia prima di ogni altro Paese in Europa. L’attuale logo del grifone fu creato da César Manrique – artista e architetto più importante dell’isola – derivato da un villaggio sepolto dalla lava ai tempi delle eruzioni del Timanfaya.
Dopo questa prima visita dissetante e chiarificatrice ne sono susseguite molte altre e tutte degne di nota, come: La Geria, Rubicon, Guigan ecc. Ognuna in grado di trasmettere emozioni in maniera diversa.
Ovviamente non si può andar via da questo posto senza aver visitato quello che ha reso questa isola tale: sua maestà, il vulcano Timanfaya. È possibile vedere ancora delle ferite nella terra in cui il calore percepito è talmente alto che al versare una certa quantità di acqua il risultato è una esplosione di vapore. Ed emozione.
Dunque, la vacanza non è tanto staccare e/o scappare dalla routine, ma quanto emozionarsi, ritornando con il senso di scoperta che si ha da bambini. Perdersi in qualcosa che unisca la mente e i sensi, perdendo la cognizione del tempo.
Oppure stiamo parlando semplicemente di quello che il vino regala ogni volta che noi siamo pronti ad aprirci e ad accogliere tutto quello che è in grado di donare?!
Un tripudio di bellezze visive-olfattive-gustative-emozionali.