Ancestrale – che appartiene o si riferisce agli antenati, trasmesso dagli antenati – è un termine dal tono solenne e molto evocativo richiamando alla mente un sapere legato agli antenati. Qualcosa che trova radici nel lontano passato quando la Natura dettava i tempi per la produzione del vino.
Un termine che richiama la nascita delle così amate bollicine di tutto il mondo. Nominato infatti anche metodo tradizionale, è con tutta probabilità la più antica tra le varie tecniche ancora oggi in uso. Questo metodo di spumantizzazione veniva anticamente utilizzato nella Champagne e portava il vino ad avere una maggiore complessità organolettica. Ma pare che questa antica tecnica fosse partita dalla zona della Blanquette de Limoux, nell’area Languedoc-Roussillon: nacque qui il primo spumante al mondo, ben prima dello Champagne che da esso avrebbe preso spunto. I produttori della Blanquette de Limoux sono certi di questi primati e li affermano con forza da anni, basandosi su documenti antichi che certificano la veridicità di una storia ammantata di leggenda, la cui nascita è fissata nel 1531, quando “i monaci di Saint-Hilaire, nei pressi di Limoux, progettarono un vino accolto in una bottiglia di vetro con un tappo di legno legato da un filo”. Lo Champagne invece, sarà inventato soltanto nel 1688, da parte di Dom Perignon che si sarebbe ispirato proprio al metodo con cui veniva realizzata da oltre un secolo la Blanquette, a lui ben nota e perfino studiata in loco.
Ritornando ad oggi e tenendo presente che ci sarà sempre un ritorno al passato, perché è da lì che tutto ha avuto origine, il procedimento del metodo ancestrale conta di una leggera pressatura delle uve – raccolte solo quando si raggiuge la piena maturazione -, necessaria per l’estrazione dei così detti lieviti indigeni presenti nella buccia dei singoli acini d’uva (precisamente nella purina). La fermentazione viene effettuata in acciaio inox a temperature rigorosamente controllate, utilizzando acque di pozzo e sorgenti naturali. Viene successivamente bloccata, riducendo la temperatura al di sotto degli 8°, al raggiungimento del 5/6% di alcol e ad un tenore di zuccheri ben preciso, necessario a garantire la ripresa dello stesso processo di fermentazione dopo le operazioni di imbottigliamento. Con l’innalzamento della temperatura primaverile, comincia una seconda fermentazione spontanea in bottiglia con gli zuccheri e i lieviti residui. Questo porterà alla produzione di un perlage leggero e divertente, un “petillant” come amano dire i francesi. Le temperature più alte favoriscono, infatti, il risveglio dei lieviti del vino che trasformano in alcol i residui zuccherini producendo anidride carbonica: è in questa fase che si formano le bollicine, che si sprigioneranno una volta stappata la bottiglia. Alla fine della fermentazione, il vino diventa spumante e produce, come nel “Metodo Classico” italiano o “Metodo Champenoise” francese che dir si voglia, residui di lieviti che, al contrario del metodo prima citato, non vengono espulsi. La fase successiva è la maturazione durante la quale il vino, ormai effervescente, riposa sulle proprie fecce e sui lieviti che cedono alcuni composti che ne caratterizzano l’odore e il gusto.
I vini prodotti attraverso questo metodo sono dotati di una spuma piacevole, non aggressiva, con aromi primari e secondari che si mescolano a quelli donati ai lieviti, durante il lungo contatto con il vino. Dal momento che non si effettua la sboccatura, questi vini si presentano torbidi con sentori di crosta di pane abbastanza accentuati e dovuti alla maggiore presenza di lieviti.
Oggi questo vino spumante “sur lies“ o “col fondo” è stato riscoperto e aggiornato a più moderni criteri produttivi in tutta Italia, un esempio su tutte due regioni di grande tradizione come l’Emilia-Romagna con i suoi Lambrusco e Trebbiano o il Veneto con i suoi Prosecco “con il fondo”. Oppure Pojer e Sandri in Trentino con il suo Zero Infinito; La Crowatina di Stuvenagh in Oltrepò Pavese con l’originale scritta in etichetta di “Mi stai sui Lieviti”; Casebianche in Campania con Il Fric da uve aglianico e La Matta da uve fiano. E così via percorrendo tutta l’Italia.
Storie di tradizioni, antichi sapori, di fermentazioni non finite, di futuro nascosto nel passato. Un metodo che sembra poter valorizzare la varietà ampelografica del Belpaese: un metodo per ricavare il meglio delle potenzialità di vitigni e creare vini spumanti che siano espressione del territorio in cui nascono. Quindi una rappresentazione di una nicchia molto preziosa, in grado di mantiene in vita un sapere antico, proponendo vini differenti e con molta personalità.