Se si parla di Piemonte è inevitabile pensare al vino.
Di che tipo di vino?
Che domande.. Ma rosso certamente!
Terra delle grandi Langhe con i suoi Barolo e Barbaresco figli di uno dei più nobili vitigni italiani: il re nebbiolo; il Monferrato con la sua allegra barbera; il ruchè di Castagnole Monferrato, il dolcetto, il grignolino e altri. Insomma, una terra dove il rosso è il colore del “cuore”, almeno nel pensiero comune.
Eppure, con uno sguardo più attento è possibile trovare anche un tesoro d’orato. Troviamo il cortese, l’erbaluce, l’arneis, la favorita, la malvasia e poi.. potrei continuare ancora.
Ma ce n’è uno in particolare che negli ultimi anni ha mostrato tutto il suo carattere: il timorasso!
E’ un vitigno autoctono – rustico e vigoroso – della provincia di Alessandria, a bacca bianca di qualità, coltivato nelle Valli Curone, Grue, Ossona e in Val Borbera, in un ‘area dove la vite trova un valido “habitat” grazie al terreno – argilloso chiaro, con una buona componente calcarea -, al lungo soleggiamento e alla posizione al riparo dei venti. La sua produzione è assai limitata, ma di alta qualità.
La coltura del Timorasso interessava un tempo un vasto territorio dell’Alessandrino, dal Novese al Tortonese, e si spingeva fino a Voghera in provincia di Pavia, mentre attualmente è un vitigno autorizzato in provincia di Asti e Alessandria e provvisoriamente in provincia di Cuneo. È coltivato dal Medioevo e se ne hanno notizie già dalla prima enciclopedia agraria redatta nel XIV secolo dal bolognese Pier de Crescenzi. L’ampelografia descritta dallo stesso autore non lascia praticamente dubbi sull’originalità del vitigno.
Dopo la devastazione delle viti europee causata dalla fillossera, le vigne di timorasso sono state quasi completamente sostituite con il cortese, più facile da coltivare e dalle rese maggiori. Probabilmente il timorasso sarebbe scomparso dalla mappa ampelografica italiana se negli anni ’80 Walter Massa e altri coraggiosi e tenaci vignaioli di Tortona, non avessero deciso di riportarlo in vita, scommettendo sulle sue grandi potenzialità.
Walter Massa – tenace e coraggioso vignaiolo di Tortona – è la voce più autorevole del timorasso. Un uomo molto schietto che non va tanto per il sottile, a cui si deve la rinascita di questo vitigno e una nuova filosofia produttiva, tanto da meritarsi il nome generalmente riconosciuto di “Padre del timorasso”, lavorando per la valorizzazione di un territorio originale dal punto di vista pedologico e climatico.
Le prime produzioni, sul finire degli anni ’80, erano di poche migliaia di bottiglie, con un occhio già molto attento alle grandi qualità del vitigno. Oggi i produttori di timorasso sono in tutto una trentina e la superficie coltivata nei Colli Tortonesi è passata da un ettaro a 60 ettari, con oltre 400.000 bottiglie annue.
Ma perché il nome Timorasso? Una storia nata a causa di una donna, Elisia.
Anzi no. Per MERITO di una donna, che a causa di uno sventurato avvenimento è riuscita a cambiarne la sorte.
La leggenda narra che tale Gioacchino di Tonio, detto “il burbero”, allevatore nomade di capre vissuto verso la fine del 1200 nei monti al confine tra la repubblica di Genova ed il granducato di Milano, fosse talmente scontroso, rozzo e selvatico da non permettere a nessuno di avvicinarsi. La sua fama di violento crebbe col passare degli anni alimentando un alone di mistero e di terrore, che giunse fino alle città più vicine. A causa di un inverno particolarmente lungo e rigido, Gioacchino fu costretto a scendere lungo la valle che portava verso il fiume Scrivia ed i domini del vescovo di Terdona (l’odierna Tortona). La sua presenza fu vista come un segno del diavolo e lo stesso territorio prese da allora il nome di Val del Burbero ed in tempi più recenti Val Burberia e poi Val Borbera. Nei pressi della città l’eremita fu animalescamente attratto da una giovane ragazza, Donna Elisia della Colomba. L’uomo si avventò sulla ragazza e solo l’intervento di uno spasimante di lei, un certo Claudiano di Mario “Ottomani” riuscì almeno in parte a frenare l’eremita. Durante la furiosa lotta, che vedeva Gioacchino prossimo ad uccidere Claudiano, le grida attirarono un certo Ser Valterio dei Massi un nobiluomo di campagna dai modi decisi e risoluti. L’uomo iniziò a scagliare verso il capraio grosse pietre, abbondanti nei terreni tortonesi. L’eremita, si accasciò al suolo e chiese pietà a Valterio, Claudiano ed Elisia. Da quel giorno Gioacchino divenne fedele servitore di Valterio e, vendute le capre, si dedicò ai lavori di vigna agli ordini del nuovo padrone. Claudiano ruppe con la vita dissoluta e volle seguire il signorotto nell’arte di fare il vino, rimettendo in ordine i suoi terreni incolti. Simile scelta fece Elisia, grata ad entrambi i valorosi cavalieri. Elisia diventò la prima donna nella storia ad occuparsi della gestione di una vigna e fondò poco dopo l’ordine delle Madonne del Vino. Proprio a quel vino aspro e sincero che scaturiva dai colli, un bianco che nella durezza del carattere, nella sensualità e nella leggiadria ricordava i protagonisti della storia, decisero di dare un nome che ricordasse l’evento. Allo splendido estratto d’uva fu così assegnato l’appellativo di “Timor del Sasso”, da cui poi Timorsasso ed infine Timorasso.
Grazie all’abilità dei viticoltori, che da secoli si dedicano a questa preziosa e delicata arte di trasformazione del frutto in qualcosa di magico, ha reso il Piemonte una regione con un patrimonio ampelografico tutto da scoprire e valorizzare. Senza fare alcuna distinzione di tipo o colore, ma con dei valori ben saldi di rispetto per tutto quello che la terra riesce a donare.