Il titolo giusto per questa storia potrebbe essere semplicemente: ascesa e declino dei vini dei Castelli.
In realtà sarebbe una banalizzazione fuorviante. La cronaca dei vini dei castelli è ben più articolata, potrebbe essere la trama di una soap opera stile anni ‘80 che si trascina tra colpi di scena, momenti di gloria, boicottaggi, intrighi politici, abbandoni e riscoperte.
Se il successo di una particolare zona vinicola richiede unione, lungimiranza e perseveranza da parte dei produttori, della politica e dalle forze istituzionali locali, sembrerebbe che il danno sia stato ormai fatto.
Difficile recuperare gli anni passati ad esplorare rotte diverse ed improbabili.
E’ ben noto che i vignaioli ed imprenditori locali cercano di allontanarsi dall’immagine sbiadita e dalla spersonalizzazione che ha guadagnato la zona negli ultimi decenni.
Se potessimo riavvolgere il nastro per fare mente locale sulla storia dei vini dei castelli romani, sarebbe quasi uno shock constatare il terribile destino che ha avuto un’areale vinicolo così incredibilmente valido e così vicino alla Capitale!
I Castelli Romani sono dei piccoli comuni posti su piccoli rilievi chiamati Colli Albani e si estendono su un areale di diametro di circa 50 km tra il mare e gli Appennini. Le piccole cittadine tra cui Frascati, Ariccia, Velletri e Monteporzio, sono collegate a Roma tramite l’Appia.
Ai “Castelli” c’è ampia traccia di attività vulcanica ed il laghi di Albano e Nemi adagiati in un cratere, ne sono testimonianza tangibile. Oltre alla conformazione del territorio ed al clima piuttosto favorevole per l’agricoltura, i reperti archeologici, collocabili fino all’età del Bronzo, dimostrano la storica vivibilità dell’ambiente per le civiltà.
Nonostante le civiltà antiche abbiano trovato come zona d’elezione questi dintorni, l’attività vulcanica è indubbiamente stata piuttosto turbolenta. I trascorsi eruttivi hanno lasciato in eredità suoli molto ricchi e coltivabili per via delle quantità di potassio e le caratteristiche di permeabilità.
La vite ha origini molto antiche nei dintorni di Roma. Alcuni campioni di vite fossile risalenti addirittura a 6000 anni fa sono stati rinvenuti nelle campagne. La reputazione dei vini di questa zona era notoriamente gloriosa e menzionata in svariati trattati di scrittori importanti come Plinio il Vecchio.
Fino ai primi anni del ‘900 la parabola dei vini dei castelli, ha letteralmente spiccato il volo.
I fattori che hanno successivamente messo in ginocchio la viticoltura laziale di pregio hanno avuto inizio con gli impianti di vitigni iper produttivi come Malvasia di Candia (o Malvasia Rossa) e Trebbiano Toscano e sistemi di allevamento che favorivano la quantità piuttosto che la qualità.
In effetti, nella logica della compravendita di uva a peso anziché qualitativamente valida, il Dio denaro ha creato i presupposti per danni permanenti ed invalidanti alla viticoltura locale.
Inoltre, la segmentazione delle varie denominazioni senza il supporto di un progetto ambizioso hanno contribuito all’assenza di consistenza della zona vinicola.
Negli anni ‘60 sono nate le DOC Frascati, Marino, Velletri et al ma la latitanza delle Istituzioni e il crescente peggioramento della qualità dei vini hanno sancito il vero e proprio declino dei vini dei Castelli.
In realtà, il progetto ideato dall’Onorevole Santarelli (proprietario dell’azienda Castel de Paolis e storicamente impegnato in politica a supporto delle pratiche agricole) antecedente al riconoscimento della doc Frascati, era ricco di significato territoriale e commerciale. Lo stesso consisteva nel creare una denominazione univoca “castelli romani” con eventuale indicazione delle sottozone.
La suddetta idea poteva rappresentare un ottimo spunto per valorizzare l’identità delle aree geografiche più specifiche, come gli esempi più noti a livello globale ci insegnano. Sfortunatamente l’intuizione non è stata presa in considerazione.
Neanche il tentativo di rilancio a cui ha contribuito l’illustre prof. Attilio Scienza ha avuto esito. Il piano mirava a far introdurre la zonazione viticola in zona castelli ma è stato mal giudicato e cestinato dall’assessorato regionale (anno 2003).
La triste vicenda dei castelli Romani è quindi costellata da scelte sbagliate, come l’introduzione dei vitigni super produttivi. Sebbene questi vitigni siano resistenti ad alcune malattie della vite e consentano particolare vigoria, la filosofia dell’impiego degli stessi è in totale contro tendenza con la viticoltura moderna che concepisce vini identitari e sfaccettati.
Purtroppo già dagli anni ’40 la perdita di appeal dei vini Laziali è stata percepita a livello commerciale ed ha determinato inoltre il mancato passaggio del testimone alle generazioni successive.
Il fattore quantità vs qualità ha portato gravi conseguenze a livello di business. Una grande percentuale di aziende dei castelli Romani si sono ritrovate in perdita e gli organismi di monitoraggio hanno rilevato un costante abbandono delle vigne. Parte della produzione di alcune annate è stata drammaticamente sottoposta a distillazione per evitare la distruzione del prodotto invenduto.
Gli eredi dei produttori hanno probabilmente preferito non investire in un settore che si trascina ed arranca inesorabilmente.
Ai giorni nostri, nonostante la persistente frammentazione della produzione e la mancanza di un brand blasonato, ci sono eccellenti esempi di viticoltura di qualità come le aziende Colle picchioni, Poggio le volpi, Castel de Paolis, De Sanctis, Ribelà ed altri.
Il patrimonio ampelografico laziale è altresì ricco di vitigni di pregio e con caratteristiche complementari per creare dei blend incredibilmente interessanti. Basti pensare alla nobilissima Malvasia del Lazio o puntinata, al grechetto, al bombino, all’aleatico, al trebbiano giallo, al cesanese…
Inoltre, il disciplinare odierno della DOCG Frascati vieta l’impiego di sistema cosiddetto a tendone a chi decide di aderire al progetto denominazione.
Un’altra grande vittima della crisi dei Castelli è il Cannellino (Cannellino di Frascati) , un tempo vera perla di produzione, vino passito con uvaggio Sauternais prodotto da uve attaccate dalla muffa nobile, assidua presenza in zona. Attualmente la percezione a livello commerciale dell’unica DOCG dedicata ai vini dolci del Lazio è pressoché inesistente.
La grande passività delle istituzioni nel dare valore ad una zona che potrebbe invece essere una notevole attrazione turistica e soprattutto eno gastronomica è davvero impressionante.
Se già la crisi aveva scoraggiato le attuali generazioni, eccetto pochi isolati casi di caparbietà e coraggio, la scelta di non investire nella formazione specifica pubblica, rappresenta una molestia ad un settore che potrebbe invece creare innumerevoli posti di lavoro e contribuire a creare interesse come avviene in altre regioni.