Ci sono delle famiglie grandi, numerose, casiniste, rumorose e chiacchierone. Come quella del moscato, vitigno aromatico per eccellenza e appartenente ad una delle più grandi famiglie. Infatti, questa comprende oltre 200 vitigni appartenenti alla specie Vitis vinifera – la specie in assoluto più importante per le caratteristiche qualitative dei suoi frutti – che sono stati utilizzati nella produzione del vino e come uva da tavola in tutto il mondo per secoli.
L’origine del moscato si colloca nel bacino medio-orientale del Mediterraneo e sembra essere l’uva più antica di quelle coltivate in Italia. Il nome moscato è usato per identificare un gruppo di vitigni, anche molto diversi tra loro (ve ne sono sia a bacca bianca che nera) ma accomunati dal caratteristico sapore e dal profumo. Il nome risale al tardo Medioevo e deriva da muscum (muschio), a causa del profumo intenso di uva e vino, simile a un’essenza (musquée) dall’aroma particolarmente dolce.
Il gruppo dei moscati, estremamente complicato sia dal punto di vista varietale che sinonimico, è stato trattato da praticamente tutti gli ampelografi moderni come un insieme di complessi di varietà. In forma generica possiamo suddividere i moscati in 4 gruppi principali:
– ll moscato bianco o muscat blanc à petits grains, è oggi la quarta uva bianca italiana per superficie vitata, con circa 30.000 ettari, ed è il vitigno più coltivato in Piemonte dove si producono due vini Docg: l’Asti Spumante e il Moscato d’Asti. Nel resto d’Italia, è conosciuto e utilizzato per la produzione di vini aromatici in Valle d’Aosta, Oltrepò Pavese, Toscana, Puglia, Sicilia e Sardegna, dove in base alla zona di produzione o in riferimento ai vini che si producono, cambia nome: Moscadello di Montalcino, Moscato di Canelli, Moscato di Trani, Moscato d’Asti, Moscato di Siracusa, Moscato di Sorso Sennori e Weisser Muskateller in Alto Adige. Viene anche utilizzato nella produzione di molti dei vini fortificati francesi noti come vin doux naturels. In Australia, questa è anche l’uva principale utilizzata nella produzione del liquore moscato, proveniente dalla regione vinicola vittoriana di Rutherglen.
Moscato d’Alessandria:
Coltivato in Sicilia presumibilmente dai tempi dei Fenici, veniva utilizzato soprattutto come uva da tavola fresca o essiccata, da cui l’altro nome derivante dall’arabo Zabib “Zibibbo”. Le uve allungate, con una polpa particolarmente dolce, si prestano molto bene al processo di essiccazione che segue la raccolta. Da queste uve si ottengono non solo i vini Zibibbo ma anche, ad esempio, il famoso Moscato e il Passito di Pantelleria. Inoltre, a causa della sua dolcezza, il prodotto è anche usato come vino da taglio, specialmente per i vini del nord Italia, che sono spesso carenti di contenuto zuccherino e aroma. In Spagna se ne ottengono alcuni Moscatel di rilievo, mentre in Cile dalla sua distillazione si ricava il Pisco, l’acquavite tradizionale di quella nazione. Viene anche utilizzato per produrre vini bianchi secchi e dolci, spesso etichettati come Moscato in Australia, California e Sudafrica.
Moscato Ottonel:
È molto diffuso soprattutto in oltralpe, generato da un incrocio artificiale ottenuto nel 1852 da Moreau-Robert da uve moscato di Saumur e Chasselas Musquè. Presenta grappolo piccolo e acini rotondi, matura precocemente rispetto agli altri due ed è molto resistente al freddo. E’, insieme a muscat blanc à petits grains il vitigno che compone l’uvaggio permesso da disciplinare, in Alsazia, per la produzione di muscat d’Alsace. È una terza varietà di minore importanza, dagli aromi meno tipici, diffuso soprattutto nelle repubbliche dell’ex Unione Sovietica, in Romania, nelle repubbliche dell’ex Jugoslavia e in Austria, dove però è in corso la sua sostituzione con il Muskateller, che già origina vini secchi di gran classe, tra i più ricercati del paese.
Moscato d’Amburgo:
A bacca nera, completa il panorama delle quattro varietà principali che però è utilizzato quasi esclusivamente per produrre uva da tavola. Quel poco vino però, che ne viene tratto è ricco di tannini, senza retrogusto amaro. Originario dell’Inghilterra dove è chiamato “Black of Alessandria”, si è diffuso prima in Francia e più tardi in numerosi paesi viticoli.
Non vanno dimenticate le numerose varianti autoctone del vitigno, che come sempre rendono unica la viticoltura del nostro paese: moscato di Terracina, moscato rosa, moscato Nero di Acqui, moscato di Scanzo.
Moscato rosa:
Presente in Alto Adige dove tali uve esistono da tempo, tanto che possono definirsi autoctone, sono più comunemente chiamate Rosenmuskateller. Rispetto al più famoso Moscato d’Asti, o al Passito di Pantelleria – che ha profumi fruttati di frutta secca, albicocche e miele -, il moscato rosa si distingue per i suoi sentori floreali e per spiccate note di frutti rossi sovramaturi e secchi.
Moscato di Scanzo:
È da considerarsi un prodotto di nicchia di 31 ettari nel solo comune di Scanzorosciate, nella provincia di Bergamo. Predilige terreni collinari asciutti e ben esposti raggiungendo i migliori risultati qualitativi quando viene coltivato sui “Sass de la Luna”, una formazione calcareo marnosa di colore grigio azzurro che affiora nel bacino lombardo. La forma passita ha ottenuto la Docg nel 2009, prima e unica a Bergamo.
Si potrebbe continuare all’infinito a raccontare tutti i componenti di questa super famiglia. Quello che è certo è di avere la consapevolezza di appartenere ad un gruppo che ha messo radici in gran parte del mondo, dall’Italia, alla Spagna, alla Francia al Cile e così via. Nessuna può essere definita una terra straniera.
Una certezza, come una vera famiglia del resto.