Quando si parla del connubio vitigni internazionali e Toscana quello che subito balza alla mente è il Sassicaia, o in generale Bolgheri, per non parlare dei cosiddetti Super Tuscan, una serie di eccellenze e fiori all’occhiello dell’enologia italiana che agli occhi di tutti hanno rivoluzionato il mondo del vino degli anni ’60/’70.
In realtà la presenza dei suddetti vitigni in questa regione è molto più antica e legata alla storia di Caterina ‘de Medici.
Nel periodo in cui fu la regina di Francia, ben 5 secoli fa, decise di trapiantare qualche barbatella di Cabernet nella zona di Montalbano, uva chiamata in quel periodo (come tuttora in forma dialettale) “Francesca” o “Francesa” probabilmente per evidenziarne la provenienza.
Molto prima delle geniali intuizioni di Mario Incisa della Rocchetta e dell’avvento dei successivi Super Tuscan, a Carmignano nell’antica D.O.C. Medicea, si produceva un vino frutto di un blend principalmente composto da Sangiovese e Cabernet Sauvignon che può tranquillamente essere definito come un vero e proprio precursore.
Non si conosce bene il perché, che sia per motivi politici o forse semplicemente per poter giovare della fama di un nome già altisonante, fatto sta che negli anni ’30 questa D.O.C. fu inglobata in quella del Chianti Montalbano andando a snaturare quello che difatti era un vino molto diverso.
Fortunatamente grazie allo sforzo di alcuni produttori, capitanati dallo stesso sindaco, la D.O.C. Carmignano fu riconosciuta nel 1975, per poi divenire D.O.C.G. nel 1990.
Attualmente il consorzio vanta ben 11 aziende distribuite su un areale di circa 150 ettari di terreno calcareo ricco di scisti e galestro, il sottosuolo ottimale per la crescita del Sangiovese.
Una zona in cui la giusta alternanza tra le innumerevoli ore di luce e precipitazioni riesce a portare le uve alla perfetta maturità e dove l’influenza dei venti freschi provenienti dagli appennini, oltre a garantire l’escursione termica necessaria in fase di maturazione per il pieno sviluppo aromatico, scongiura lo sviluppo delle muffe.
Oggi questa denominazione, nonostante abbia un carattere ben definito ed unico, una longevità straordinaria ed un rapporto qualità-prezzo estremamente conveniente, stenta ad uscire sul mercato.
Certo è che in Toscana è difficile farsi conoscere: questa è la patria del Brunello di Montalcino, dei Super Tuscan e del magnifico Viale dei Cipressi, c’è poi da dire che il resto del mondo, nel bene e nel male, identifica l’intera regione con il Chianti.
Parallelamente, spostandoci sulla costa Est del centro Italia, troviamo che nel binomio autoctono-internazionali la parte del Sangiovese spetti al Montepulciano.
In Abruzzo, questo vitigno da sempre vinificato in purezza, si è fatto portavoce di una regione calda ed accogliente riuscendo a farla conoscere in tutto il mondo.
C’è però, al confine con le Marche, una piccola D.O.C. Chiamata Controguerra Rosso che, come per il Carmignano, lo vuole in sposalizio con i vitigni internazionali.
Vini caratterizzati da una forte struttura, tannici e che si prestano ad una lunga evoluzione.
Sfortunatamente anche in questo caso, a livello commerciale, viene considerata una denominazione di serie B nonostante lo sforzo di alcuni produttori che riescono a mettere in bottiglia delle vere e proprie perle rare.
Il mercato chiede altro e, chi può, si dedica esclusivamente alla valorizzazione del Montepulciano, peccato perché limitando la sperimentazione si tagliano le ali ad un eventuale “Tignanello 2.0” tutto abruzzese.
Nelle Marche invece il Montepulciano si trova generalmente in purezza nella D.O.C.G. Rosso Conero Riserva, il Conero è un promontorio che si affaccia sul mare Adriatico in provincia di Ancona, una zona estremamente peculiare, che permette a questo vitigno di esprimersi al meglio.
Poi c’è il blend con il Sangiovese nella D.O.C. Rosso Piceno che copre tutta la fascia costiera dal confine Nord del capoluogo della regione fino a quello più meridionale.
Nella provincia di Ascoli Piceno invece, si è voluto investire nel blend con gli internazionali andandolo a premiare con la D.O.C.G. Offida Rosso, in cui però la percentuale di Montepulciano rimane dominante (Minimo 85%).
Anche in questo caso il vino fa fatica a mettersi in mostra, tralasciando il discorso marketing o in alcuni casi l’eccessivo uso della botte, bisogna sottolineare che chi ha la “sfortuna” di possedere vigneti al di fuori della denominazione può imbottigliare sotto un generico Marche Rosso I.G.T. che, non avendo un disciplinare così rigido, permette di osare e spesso regalare bottiglie indimenticabili che, non a caso, riescono a strappare prezzi medi più alti e maggiore risonanza nazionale.
Piccole grandi denominazioni che lottano in un mercato che tende a premiare sempre i soliti nomi e a mantenere lo status quo.
Ci fanno scoprire come il Cabernet riesca a colorare, ma sfortunatamente non sempre ad illuminare, i 2 principali vitigni del centro Italia, molto diversi tra loro ma con un’attitudine al blend incredibilmente simile.