Un’energia incredibile, quella che avverti scambiando due parole con Ercole Zarrella, patron della cantina Rocca del Principe. Il vino qui è vita ed il messaggio arriva forte e chiaro.
La famiglia Zarrella è coinvolta da moltissimi anni nel mondo del vino. Sebbene la generazione precedente a quella in forza non ha trovato nella viticoltura la sua strada a livello commerciale, il destino e la forte volontà del Sig. Ercole hanno sancito la ripresa dell’attività a tutto tondo e cominciato a virare verso una viticoltura ricercata e di grande qualità.
Il profondo rispetto dell’ambiente, i progetti legati all’esaltazione delle micro-aree ed i nuovi orizzonti in famiglia, tra cui un’inedita etichetta il cui sviluppo è seguito dalla figlia Simona, hanno permesso all’azienda di poter alzare l’asticella ed ottenere i meritati riconoscimenti.
Sig. Zarrella ci racconti la sua storia nel magico mondo del vino:
Ci troviamo in località Arianello, comune di Lapio. Provengo da una famiglia molto legata all’attività agricola prevalentemente viticola. I miei antenati già producevano vino in zona. Coltivavano Aglianico, Sciascinoso, Fiano e Coda di Volpe, i vitigni a bacca bianca consistevano nel 10% della produzione.
Parte delle uve venivano vendute e parte vinificate per il consumo locale o per tagliare i vini sfusi Pugliesi, molto carenti in termini di acidità. Mio padre, non ha raccolto il testimone e non ha portato avanti la tradizione di produrre vino a livello commerciale ma solo familiare. Io ho deciso di riprendere la rotta commerciale quando mi sono inserito nel 1990.
Nei primi anni ‘90 c’è stato molto fermento attorno al vitigno Fiano grazie agli esperimenti promossi dalla scuola di enologia di Avellino e l’azienda Mastroberardino. In precedenza, quando il Fiano non era noto per le pregevoli caratteristiche, veniva utilizzato per produrre uno spumante dolce tipicamente usato nelle feste comandate. La sperimentazione aveva come obiettivo la produzione di un vino secco e fermo di grande potenziale. Il progetto aveva coinvolto anche i contadini che venivano invitati ad impiantare il Fiano.
Da allora in avanti c’è stato un crescendo fino all’ inizio anni 2000.
Dopo la caduta delle torri gemelle c’è stata crisi. La crisi è stata probabilmente studiata e strumentalizzata in modo maldestro per abbattere il prezzo delle uve.
Prima, i contadini sono stati spronati a piantare per poter vendere a prezzi redditizi. Con l’avvento della crisi degli anni 2000, le uve cominciavano ad essere molto mal retribuite, circa un terzo del prezzo.
Per questo motivo, sono nate tante realtà di vinificazione, per non rimetterci economicamente.
Il tentativo di strumentalizzare la crisi, è stata un’arma a doppio taglio perché i produttori hanno ottenuto la loro grande rivincita.
Tutti i vignaioli Irpini sembrano convergere sull’importanza della zonazione e sul contributo fondamentale delle nuove generazioni. Che ne pensa?
A seguito della crisi le aziende si sono espresse in modo diverso e sono emerse tutte le sfaccettature degli areali del Fiano. Questo passaggio storico è stato un precursore della politica di zonazione. Prima il Fiano veniva assemblato da tutte le zone dell’Irpinia. Oggi si conoscono tanti Fiano diversi grazie a questo motivo.
Lapio è un areale le cui altitudini variano dai 230 ai 630 mt sul livello del mare. Così come ci sono terreni diversi. Nella bassa valle del Calore a 250 mt c’è un terreno molto compatto fino alla superficie, in alto, a 630 mt ad Arianiello c’è terreno vulcanico ricco di pomice e lapilli.
Sebbene queste conoscenze siano frutto di indagini tecniche e scientifiche, non è difficile verificarlo in modo semplice. Se si preleva del terreno e si mette in acqua, alcune delle particelle restano a galla.
Quello che mi ha convinto ad intraprendere questa avventura è stata la mia convinzione che da quelle zone sarebbe nato un vino estremamente tipico ed interessante. Così nel 2004 ho iniziato a fare vinificazione.
Sono partito solo con Fiano di Avellino, circa 10-12.000 mila bottiglia, ora abbiamo 7 ettari e facciamo 40.000 bottiglie. Ci troviamo su una collina con il 70% delle vigne affacciate a nord est, su questo versante non c’è una grande esposizione solare ed è quello che io ricerco. Credo che l’eccessivo irraggiamento inciderebbe negativamente sulle piante. Il terreno, nelle mie vigne è molto sottile in superficie ed argilloso in profondità, questo aiuta moltissimo a conferire freschezza. Nel 2017 per esempio abbiamo anticipato al 16 di Settembre la vendemmia (invece di fine settembre-inizio ottobre). Oggi bevendo una 2017 non si percepisce per niente l’annata calda.
Come azienda qual è il vino che vi rappresenta di più o una delle annate a cui è più legato?
Sono molto legato alla 2004 ed alla 2007. La 2004 perché ha sancito il debutto. Oltre che legato affettivamente, sono soddisfatto perchè i vini sono ancora in ottime condizioni. La 2007 è stata un’annata caldissima, estrema. Ad oggi, assaggiare quei vini è un’emozione assoluta perché all’epoca ero molto preoccupato. Avevo notato che addirittura le foglie di grossi arbusti come le querce stavano ingiallendo. C’era anche molto stress idrico, le viti stavano soffrendo, poi fortunatamente c’è stato un epilogo positivo con piogge e fresco. Oggi stappo la 2007 con grande serenità.
Qual è la sua filosofia produttiva?
Utilizzo concimazioni organiche, sovescio di leguminose, spesso le fave. Siccome le fave assumono azoto dall’aria, verso aprile quando vengono tagliate lo depositano nelle radici, creando delle palline bianche. Quando poi si fa la fresatura delle fave, queste palline vengono rotte e la pianta gode di un’integrazione d’azoto.
In azienda, pratichiamo la lotta integrata e usiamo prodotti biologici. Utilizziamo lieviti selezionati, bentonite per la chiarifica e la minima dose necessaria di solforosa. L’affinamento dei nostri vini sulle fecce fini con batonnage periodici è piuttosto lungo. Infatti usciamo con ritardo sul mercato, per sfruttare l’autolisi dei lieviti. Anche altri 4/5produttori in zona lavorano in questo modo. Questi vini hanno poi bisogno di riposare in bottiglia perché questo tipo di produzione porta il vino ad essere un po’ chiuso nel primo periodo per poi avere un’impennata di aromi.
Con le nostre quattro vigne sulla collina facciamo un assemblaggio di Fiano (Fiano di Avellino DOCG Rocca del Principe). Con la prima vigna, impianto del 1990, facciamo un cru (Fiano di Avellino Tognano DOCG Rocca del Principe, che prende il nome dalla contrada dove c’è la vigna, esposta a nord est). Su questa vigna facemmo un innesto con una pianta centenaria di Fiano. Siccome la mia famiglia aveva una pianta di molti anni, decisi di fare questo innesto. Sulla barbatella acquistata andai ad innestare il clone della pianta centenaria. Ad oggi, possiamo contare su una parcella particolarmente espressiva. Questo vino fa una macerazione sulle bucce di circa 15 ore. L’affinamento viene svolto in acciaio sui lieviti circa 2 mesi in più del vino base e rimane 12 mesi in bottiglia prima della commercializzazione.
Inoltre, produco un Aglianico (Irpinia Dop Aglianico Rocca del Principe) ed una piccola quantità di Taurasi (Taurasi DOCG Aurelia Rocca del Principe), dove effettuo maggiore diradamento dei grappoli.
Come si prospetta il futuro? Ci sono novità che ci tiene a condividere?
Quest’anno nel mese di marzo, nel pieno del lockdown, abbiamo fatto un impianto nuovo.
Sono un tradizionalista, ho voluto piantare la Coda di Volpe. Ricordo questo vitigno da quando ero bambino. Voglio fare una nuova bottiglia con la Coda di Volpe per esprimere il nostro luogo, mi piace questa idea di territorio.
Inoltre, mi sono avvalso di un enologo esterno fino al 2016 ma dall’annata 2017 è subentrata a livello tecnico mia figlia Simona. Ha completato un percorso di studi in enologia e si è specializzata in biotecnologie alimentari.
Dal 2017 abbiamo cominciato a vinificare insieme. Simona ha studiato col professor Luigi Moio che crede molto nella creazione di vini bianchi col supporto del legno. Abbiamo scelto di comune accordo di fare un Fiano nuovo: un terzo Fiano, da una nuova micro area. Mia figlia ha voluto prendere in considerazione una vigna in zona Neviera, esposta a Nord.
La “Neviera” in epoca rinascimentale veniva usata per conservare la neve. Consisteva in un pozzo profondo, dove alternando paglia e neve si facevano degli strati. La neve veniva conservata fino ad Agosto per preservare gli alimenti.
La novità è che il 20 % delle uve di questa vigna più recente hanno fatto un passaggio in legno. Durante la vinificazione è stata effettuata una macerazione a freddo sulle bucce per 15 h, poi un’ulteriore macerazione dopo travaso sulle fecce grossolane con temperatura controllata a 5 gradi per 7 gg facendo batonnage senza far partire la fermentazione. Questo vino sarà il primo ad essere imbottigliato. Fra un paio di mesi verrà messo in bottiglia perché il legno accelera l’evoluzione del vino. Lo assaggeremo poi tra un paio d’anni.
Il bello di poter coinvolgere gli eredi e di avvalersi delle loro conoscenze è che ti danno la giusta spinta per creare continuità.
In quali mercati esteri siete presenti?
Stati uniti e UK, paesi bassi e Giappone. All’estero vendiamo un 35%/40%.