Il rapporto tra il vino e le anfore è antichissimo. La prima testimonianza di vinificazione nella terracotta risale a circa 8 mila anni fa (6 mila anni A.C.) in Iraq. Oggi questi ritrovamenti rappresentano delle testimonianze fondamentali per ricostruire la storia del vino e del suo commercio, anche perché ogni territorio aveva la sua anfora che indicava la provenienza del vino stesso, ma soprattutto il suo valore.
Quando si parla di terracotta del vino, si discute di anfore di almeno tre produttori e regioni: Spagna, Georgia e Italia. L’uso della ceramica per la vinificazione nella regione del Caucaso risale a diversi millenni fa. In Georgia esiste ancora qualche vasaio capace di foggiare delle grandi anfore chiamate qvevri che, come le dolia romane, vengono interrate nelle cantine e ricoperte, all’uscita dal forno, da uno strato di argilla. In Spagna, la tradizione di vinificare e stoccare il vino in grandi anfore chiamate tinajas è ancora viva in alcune regioni e richiama l’interesse di diversi vignaioli. Le due principali regioni sono l’Andalusia e la comunità autonoma di Castilla-La Mancha. È proprio in questa regione che, a partire dal XVII secolo, nasce un’industria ceramica molto importante, legata allo sviluppo dei vigneti e responsabile della produzione di quantità considerevoli di tinajas fino all’inizio del XX secolo. I due centri di produzione erano, all’epoca, Valdepenas e, soprattutto, Villarobleso (odierna Villarrobledo), dove quest’arte è attiva ancora oggi. Le più grandi tinajas prodotte nel diciannovesimo secolo vantavano una capacità di circa 70-80 hl per un’altezza di più di 3 metri, spesso ricoperte da uno strato di pece.
In Italia, fatta eccezione per la piccola produzione dei Capasuni di Grottaglie in Puglia (utilizzati da secoli sia per lo stoccaggio e la mescita che per la fermentazione e l’affinamento), non abbiamo la stessa storia della Georgia e della Spagna per la produzione di giare da vino in terracotta. Nonostante ciò, le produzioni artistiche italiane provenienti dall’argilla sono conosciute in tutto il mondo, e soprattutto in Toscana esistono maestri artigiani che riescono a lavorare la terracotta senza paragoni. È il caso dell’azienda Artenova, a Impruneta, l’unica fornace in Italia a produrre giare per vino e conta fra i suoi clienti – oltre a numerose aziende italiane – produttori da numerosi paesi del mondo. La terracotta di Impruneta è il risultato di un particolare tipo di argilla, presente soltanto in una ristretta area geografica intorno al paese, in grado di conferirle speciali caratteristiche di resistenza e di colore. Una terra speciale, unica, inalterabile nel tempo ma che, per essere lavorata, ha bisogno di una grande maestria artigianale. La fornace Artenova di Impruneta costruisce anfore e grandi giare da vino interamente a mano, utilizzando l’antica tecnica detta “a colombino”. Un paziente lavoro di rifinitura, realizzato interamente a mano e frutto di una maestria artigianale che si tramanda da secoli, rende ogni giara un prezioso pezzo unico.
C’è una domanda importante da porsi: il PERCHE’ dell’utilizzo di anfore per la produzione di vino?
- La terracotta è un elemento naturale ben isolante, che permette di non alterare le caratteristiche chimiche e fisiche del vino;
- La terracotta è un elemento che rispetta la purezza dell’espressione del frutto e del territorio – legato al rifiuto delle barrique nuove per evitare il rilascio di tannini e/o aromi –;
- Grande attitudine di questo materiale per le sue capacità di regolazione termica, che vengono spesso anche interrate;
- Le forme generose di queste anfore permettono inoltre una circolazione naturale dei depositi del vino e quindi un arricchimento e una migliore stabilità, portando all’attuazione di una filosofia “non interventista” secondo cui il vino “basta a sé stesso”;
- Le anfore permettono un miglior controllo delle lunghe fermentazioni, perché al riparo dall’ossigenazione aiutando così a ravvivare i profumi ed animare il frutto;
- La capacità di permettere uno scambio micro ossidativo fra il contenuto e l’ambiente: un fenomeno paragonabile a ciò che avviene con l’uso del legno ma con la sostanziale differenza di assenza totale di cessioni dal punto di vista organolettico;
- Ad oggi, non è stata rinvenuta alcuna contaminazione microbiologica di Brettanomyces;
- La terracotta rispetto all’acciaio, è un materiale che respira; e rispetto al legno ha il vantaggio di non rilasciare aromi che possono alterare il sapore del vino.
L’anfora di terracotta è molto vicina alla biodinamica perché è un materiale assolutamente artigianale e naturale ed è quanto di più lontano possibile da un acciaio o anche da un legno. L’anfora è pura semplicità. Con l’anfora c’è pochissima meccanizzazione, tutto è manuale, ragionevolmente manuale. È qualcosa che si adatta a tantissime situazioni, adatta infatti anche a lunghe macerazioni per come è fatta e per la traspirazione. È uno stile che primeggia nella biodinamica, anche se ovviamente in essa sono presenti anche vini in botte.
L’anfora è una buona via di mezzo fra romanticismo e praticità. Soprattutto è sempre più identificativa del vino fatto in un certo stile, ottenendo vini eleganti e definiti. Dunque è un contenitore che subisce le scelte fatte in vigneto, riflettendo così il carattere dell’uva stessa appena raccolta.
Oggi si è verificato un ritorno da parte dei produttori di vino all’utilizzo di un materiale del passato. Le nuove tendenze di mercato, la diffusione di conduzioni agricole più rispettose dell’ambiente quali l’agricoltura biologica e biodinamica, la maggiore sensibilità dei produttori nei confronti dell’utilizzo di materiali naturali ha giocato un ruolo determinante nel ritorno alla terracotta.
Come afferma il precursore dell’anfora italiana, Josko Gravner: “Fare vino è come partorire, l’uomo deve accompagnare e lasciar fare alla natura. E in questo ritorno alla natura l’anfora fa il resto: come un amplificatore fa con la musica, l’anfora restituisce un prodotto naturale che ha già preso forma in vigna.”