Mario Soldati la declina al maschile “il barbera”, Giosuè Carducci al femminile, “la barbera”. Ma forse non è importante capire se è “maschio” o “femmina”, perché comunque sia siamo di fronte a un pezzo di storia della viticoltura italiana (ah, comunque io la declinerò al femminile). Un vitigno ubiquitario, diffuso quasi in tutta Italia, un vitigno cittadino del mondo; la barbera è presente in California, Australia, Argentina, Uruguay, Cile, Australia. Portata in questi paesi da immigrati italiani, per avere un vino a tavola che li tenesse legati alle proprie radici.
L’uva e il vino Barbera non hanno molta storia documentata. Il primo a parlare di barbera fu Pier de’ Crescenzi nel suo Liber Ruralium Commodorum ma la chiama grisa. Mentre in un contratto d’affitto risalente al 1249 conservato presso l’archivio capitolare di Casale di Monferrato si parla di viti barbesine. Altri documenti che parlano di barbera sono risalenti al 1514 appartenenti al catasto di Chieri. Secondo alcune testimonianze documentate l’introduzione nelle Langhe di questo vitigno avviene nel 1685 per opera del Conte Cotti del Neivi. La prima descrizione del vino barbera risale al 1799 dal Conte Giuseppe Nuvolone di Pergamo, vice direttore della società agraria di Torino, nella sua istruttoria. Ma una descrizione più dettagliata, e di come si adattasse bene al territorio del Monferrato, è del botanico Giorgio Gallesio, intorno ai primi anni dell’800, nella sua opera Pomona Italiana, parla della barbera, più precisamente di vitis vinifera Montisferratensis e di come era coltivata nel suo triangolo d’oro; il territorio delimitato dai fiumi Tanaro e Belbo, con i comuni di Agliano Terme, Castelnuovo Calcea, Costigliole d’Asti e Mombercelli.
In Piemonte intorno al ‘900, dopo la devastazione fillosserica, è il vitigno che rappresenta la rinascita della viticoltura piemontese forse più del nebbiolo. Perché la barbera è un vino quotidiano, conviviale, il vino che il contadino portava a lavoro, il vino di tutti e per tutti. È salita in cattedra negli ultimi trent’anni grazie all’opera di alcuni grandi produttori come Giacomo Bologna che cambiò con l’avvento dell’uso del legno il modo di affinare la barbera rendendola più strutturata, facendogli abbandonare quella veste un po’ più beverina e semplice.
Oggi la barbera rappresenta circa il 30% del vigneto piemontese, ed è l’attrice principale del Barbera Asti DOCG con le sottozone Nizza, Tinella e Colli Astiani e del Barbera del Monferrato DOCG, oltre a essere presente anche in Lombardia soprattutto nell’Oltrepò Pavese, e ancora in Emilia-Romagna, Liguria, Toscana, Lazio, Marche, Basilicata, Abruzzo, Calabria e Sicilia.
Ma quali sono le caratteristiche di questo vitigno? La barbera presenta una foglia pentagonale, un grappolo compatto con acini di media dimensione; la sua maturazione è medio tardiva e preferisce un clima temperato. Per lo più è vinificata. in purezza. Molto versatile consente di ottenere vini con nette differenze, da quelli beverini e frizzanti a quelli più strutturati, sontuosi, ambiziosi.
Ogni territorio dona una veste differente alla barbera. Quella del Monferrato è più leggera, con un’acidità spiccata e note fruttate di ciliegia croccante. Ci spostiamo ad Asti qui la barbera è di solito più potente, più complessa, minerale e con un bouquet ruffiano. Nella zona di Alba presenta profumi ampi, un buon corpo, note di ciliegia, prugna, spezie e un’acidità più marcata. E fuori dal Piemonte? Caratteristiche differenti, ma risultati comunque ottimi.
Nell’Oltrepò Pavese, in Lombardia, la Barbera è presente sia nel Sangue di Giuda che nel Buttafuoco, vini di grande vigoria. Il Sangue di Giuda si presenta con questi sentori vinosi, fragranti, di frutta fresca e spezie. Il Buttafuoco invece vira su sentori di confettura di piccoli frutti rossi, sfumature speziate, con un’ottima intensità. Nei Colli Piacentini assieme alla croatina o alla bonarda è alla base del Gutturnio, vino con due versioni una giovane e frizzante e una più strutturata e complessa.
La prima versione molto più semplice, di facile approccio, beverina. Colore rosso rubino, con questi sentori di gioventù caratterizzati da uva e lampone. Nella seconda versione il colore diventa più compatto, sentori di marasca, ciliegia, il tutto condito da una stuzzicante acidità.
Ma quali sono le caratteristiche riscontrabili in un calice di barbera? Nel calice si presenta con un colore rosso rubino con dei riflessi purpurei, il naso è ricco, spicca la ciliegia sotto spirito ma dopo qualche minuto ecco la prugna, il pepe rosa e una piacevolissima nota mentolata. L’ingresso in bocca è teso, ed è quello che ci si aspetta, con un tannino presente ma non invadente, così come l’alcol, sentori di ciliegia che ritornano prepotentemente al palato e ne caratterizzano il lungo finale.
Abbinamenti? Sicuramente formaggi, per restare nel territorio, la toma piemontese, ma anche pasta al ragù o secondi come arrosti di carne rossa.
Barbera vitigno che da dei vini rustici quindi? Forse un tempo, ma oggi la barbera è cambiata, sicuramente non si è snaturata, ma ha saputo mutare, diventando più suadente, più ricca, più ambiziosa. Siamo ancora sicuri che sia un “vino rustico”?