Ho iniziato a cercare di comprendere il vino andando alle origini e mi sono posta alcune domande basilari che non avevo mai chiesto finora, domande del tipo “dov’è che si è cominciato a fare il vino?”, domande semplici del tipo perché il cielo è blu, cose semplici. La risposta a queste domande è solo una: Georgia.
Una storia di vino dove il focus non è l’uva ma bensì la terra, o meglio, l’argilla.
Tutto ha inizio dalla creazione di qvevri – anfore di terracotta – da parte di uomini per i quali dare forma all’argilla, non è soltanto un lavoro fine a sé stesso per un mero guadagno, no. Ha un fine più alto, ultimo: è utile alla propria patria e al proprio paese, in quanto il vino e il pane sono la parte più importante della propria vita. La parola “qvevri”, significa molto più dell’oggetto fisico in sé. È un termine che descrive un’azione. Ogni fase dell’esistenza di un qvevri è un’azione: è fatto a mano ed è trasportato a mano, è davvero un atto d’amore. Dal laboratorio al kiln – la stanza di cottura – la distanza è molto breve ma ci vuole circa mezz’ora per portare il qvevri da un posto all’altro, dove viene lasciato lì per 7 giorni, al caldo. Viene cotto per 7 giorni prima di essere finito, lo stesso tempo in cui Dio creò la terra.
Secondo Ramaz Nokoladze – produttore biodinamico di vino georgiano – “Per il mio vino il qvevri è essenziale, il qvevri è una specie di semplice recipiente di argilla che viene sepolto sottoterra. La vigna assorbe l’energia che proviene dalla luce del sole e la trasmette all’uva, ma noi viticoltori, noi che amiamo davvero il vino siamo sempre soddisfatti del sapore dell’uva, così ne spremiamo il succo e lo restituiamo alla terra, crediamo che il prodotto non sia ancora completo, così lo lasciamo fermentare e maturare ancora un po’. Per noi la terra è la madre dell’uva e quindi è come se restituissimo l’uva a sua madre, proprio come un bimbo appena nato viene affidato a sua madre affinché lo nutra. È come un mistero.”
I qvevri, non sono smaltati ma vengono ricoperti all’interno da un sottile strato di cera d’api al fine di limitare l’evaporazione e lo scambio con l’ambiente esterno. Dopo essere stati avvolti esternamente con uno strato di calce, sono interrati in marani, case per il vino cioè cantine. Questa pratica garantisce il mantenimento della temperatura sia in fase di fermentazione che in fase di maturazione e affinamento.
Esistono tre differenti metodi di vinificazione – Kakheto, Imereti e Kartli – utilizzati a seconda delle zone di produzione, tutti molto simili tra loro se non nella diversa quantità di vinacce utilizzate. Il processo di vinificazione, identico per tutti i metodi, prevede che, dopo una soffice pigiatura, il mosto sia messo nei qvevri. La fermentazione alcolica inizia spontaneamente con l’azione dei lieviti indigeni; durante questa fase, di una decina di giorni circa, il qvevri rimane aperto per consentire all’anidride carbonica di uscire dal recipiente e permettere di spingere sul fondo il cappello di vinacce a favore dell’estrazione dei polifenoli e delle altre componenti presenti nelle vinacce. La temperatura di fermentazione viene controllata naturalmente; è il fresco della terra nella quale le anfore sono interrate che la mantiene relativamente bassa. A fermentazione conclusa, le vinacce si depositano sul fondo restando, solo in piccola parte grazie alla particolare forma del qvevri, a contatto con il vino. Completato il processo fermentativo, il qvevri viene chiuso ermeticamente sigillando il coperchio con argilla o cera e coprendolo con uno strato di sabbia. La maturazione prosegue a temperatura stabile per altri 3 o 4 mesi. Verso marzo o aprile, il vino viene prelevato lasciando sul fondo le fecce e messo in un altro qvevri pulito a decantare per un paio di mesi, passati i quali si procede a un nuovo ultimo travaso in un’altra anfora nella quale la maturazione prosegue ancora per 2 o 3 anni, anche se ci sono casi in cui si protrae fino a 20 anni.
È un’esperienza sacra quando un vinicoltore apre il suo qvevri per la prima volta in primavera, è rimasto chiuso per tutto l’inverno. C’è un antico mito greco che parla di Demetra e di sua figlia Persefone. Demetra – Dea dell’agricoltura – fece un patto con la morte, con Ade, promettendogli che sua figlia Persefone poteva vivere con lui ed essere la sua amante durante l’inverno, a patto che lui gliela restituisse nei sei mesi della primavera e dell’estate, al momento del raccolto. È così che i georgiani considerano il vino nel qvevri, come la vita che si riposa sottoterra nei sei mesi invernali e quando aprono il qvevri in primavera è una rievocazione del mito di Persefone che dalla morte torna alla vita. Se il vino è buono non è merito del viticoltore ma di un potere più alto, dal momento che il qvevri è rimasto chiuso per tutto il tempo. Ogni qvevri richiede un approccio differente, alcuni devono essere mescolati e altri no, alcuni vanno mescolati di più e altri meno, insomma ogni qvevri è distinto e ha bisogno di attenzioni particolari e uniche.
Il qvevri, il vino, le cantine e i vigneti sono da sempre parte integrante dell’identità georgiana, sono come la loro carne, il loro sangue. Sono così radicati nella cultura georgiana che nei tempi antichi non c’era alcun testo scritto che ne parlasse. Nessuno pensò mai di redigere un manuale per tramandare tali conoscenze. Tutti sapevano da sempre che fare il vino era un’abilità inerente ai georgiani, nessuno aveva bisogno di un libro, ecco perché sono stati tagliati fuori da tale conoscenza.
I vinificatori che hanno abbandonato i metodi sovietici e abbracciato le antiche usanze hanno attratto l’attenzione della comunità enologica mondiale, a tal punto che, il 4 dicembre 2013, Unesco ha riconosciuto il metodo tradizionale di vinificazione georgiano nelle anfore, qvevri, come patrimonio intangibile dell’umanità. La tradizione gioca un ruolo vitale nella vita di tutti i giorni e nelle festività e, insieme al vino e alle vigne frequentemente evocate nelle tradizioni orali e nelle canzoni, costituisce una parte inseparabile dell’identità culturale delle comunità georgiane.
Il rapporto tra vino e uomo in questo paese è molto intenso, profondo e genuino, in cui bere vino è un atto quotidiano di celebrazione della vita e condivisione dei suoi doni.
Questo paese è come un arazzo colorato di cui il vino è uno dei colori più importanti.