Il Trebbiano, la famiglia “allargata”
Con il nome Trebbiano, notoriamente, si rappresenta una famiglia di vitigni che definirei “allargata” e che ha trovato grande diffusione in molte regioni della nostra penisola, ad esclusione di quelle più fredde, tanto da farne la bacca bianca più coltivata in Italia (circa 55.000 ettari).
Travalicando la nostra penisola è molto presente in Francia, la cui espressione più nota è sicuramente l’Ugni Blanc, la base dei Cognac e degli Armagnac; in Portogallo come Malvasia Fina e Bragrunha e poi Bulgaria, Russia e molti altri ancora. Questo a rimarcare la sua buona adattabilità a suoli e climi diversi ma anche la sua generosa produttività.
Per quanto riguarda l’Italia, i moderni studi hanno definitivamente sancito che le diverse espressioni presenti sul territorio sono vitigni diversi e che le somiglianze stanno solo nel nome (a cui segue un aggettivo o un appellativo geografico) e non nel patrimonio genetico.
Ecco allora il Trebbiano Giallo (o Laziale), il Trebbiano Spoletino, il Trebbiano Modenese, il Trebbiano Toscano, il Trebbiano Romagnolo (o Fiamma), il Trebbiano d’Abruzzo per citare i più̀ diffusi; unica esclusione, il Trebbiano di Soave che invece è un Verdicchio a tutti gli effetti.
IL TREBBIANO D’ABRUZZO
Di questa famiglia “allargata”, il Trebbiano d’Abruzzo sta vivendo negli ultimi decenni una vera e propria rinascita dopo un lungo medioevo di semi-anonimato in cui ha ricoperto il ruolo di “spalla”, per usare un termine caro alla commedia teatrale; ovvero utilizzato in diversi uvaggi e in blend per produrre vini più̀ blasonati.
Il rilancio della sua vera espressione in purezza si deve anche e grazie ad una figura che, ad ormai quasi 12 anni dalla sua prematura scomparsa, rimane indissolubilmente molto legata alla viticoltura abruzzese contemporanea: Gianni Masciarelli.
Ho scritto “anche” perché́ non sarebbe possibile andare avanti in questo articolo senza citare gli altri due monumenti della viticoltura abruzzese che insieme a Gianni hanno realizzato la storia ed il futuro del vino di questa regione (ma un po’ anche di questo nostro paese): Edoardo Valentini ed Emidio Pepe.
Il “new deal” dei vitigni autoctoni italici che, più̀ o meno diffusamente su tutta la penisola, si stanno riprendendo un pezzo di “scena” – fortunatamente aggiungo – del panorama enoico nazionale ed internazionale non può̀ prescindere dai risultati ottenuti con determinazione ed entusiasmo da questi tre uomini.
Tre abruzzesi che hanno saputo profondere in tutti i loro progetti di viticoltori, l’amore per la loro terra e la forte convinzione delle grandi potenzialità̀ di questi vitigni.
Trebbiano certo ma anche Montepulciano (d’Abruzzo) rappresentano emblematicamente proprio questa filosofia, questo credo.
Ma facciamo un passo alla volta.
GIANNI MASCIARELLI
La storia di Gianni Masciarelli è abbastanza nota agli “addetti ai lavori” forse un po’ meno ai semplici appassionati e ai neofiti.
Di lui si sa che, dopo aver ereditato dal nonno materno Umberto la passione per la vigna e per il vino, inizia i primi esperimenti spinto da una grande motivazione e dalla forte convinzione nel valore assoluto dei vitigni autoctoni abruzzesi (Montepulciano e Trebbiano su tutti).
L’idea che si fa spazio nella sua mente è quella di conferire loro un carattere internazionale senza mai dimenticare, anzi esaltandone in tutte le sue forme, il legame con il territorio.
Siamo all’inizio degli anni ’80. L’Italia socio-economica si è appena ripresa dalla crisi petrolifera del 1973 ma non è ancora entrata nella fase della “Italia da bere” di qualche anno dopo.
L’Italia enologica, dal canto suo, si sta affacciando ad un periodo di vero e proprio rinascimento (illuminato) sfruttando il boost delle esperienze pioneristiche dei Super Tuscan che di fatto stanno spopolando sui mercati nord europeo e statunitense, portando nuova luce al nostro made in Italy enologico.
Toscana, Piemonte e Veneto fungono da apripista mentre le altre regioni italiane si muovono (come spesso accade nel nostro paese) a velocità molto diverse perché́ diverse sono le culture e le tradizioni, diverse le caratteristiche e le dimensione delle aziende vinicole; diversa è infine l’azione (o non-azione) delle amministrazioni locali e del governo centrale, nella produzione di norme e regolamenti atti a difendere e a promuovere i nostri vini.
In questo contesto economico, politico e sociale, Gianni Masciarelli fonda la sua azienda nel cuore dell’Abruzzo “sconosciuto”, a San Martino sulla Marrucina (un borgo chietino di poco più̀ di 1000 abitanti, incastonato tra le montagne e le colline del Parco della Majella e le rive del Mar Adriatico) ed inizia la produzione e la vendita di Trebbiano e Montepulciano d’Abruzzo.
Siamo nel 1981 e dopo soli due anni (1983) produce già̀ 9.000 bottiglie. Nel 1984 nasce il Villa Gemma Rosso, un Montepulciano ottenuto dalle migliori uve di San Martino.
Grazie agli insegnamenti sui modelli di coltivazione, potatura e vinificazione appresi in Francia, lancia la sfida (e la vince) all’idea di vino che domina in Abruzzo ormai da troppo tempo.
Per primo introduce il sistema di allevamento a Guyot e sempre per primo decide di sperimentare l’utilizzo delle barrique di rovere francese per l’affinamento del Montepulciano e del Trebbiano d’Abruzzo.
Dirada la resa, butta giù̀ i cosiddetti «tendoni» per mettere le piante in filari, con il preciso intento di esaltare radicalmente l’essenza dell’uva e permettere di centellinare il nutrimento della terra su tre o quattro grappoli invece che su dieci.
In maniera quasi maniacale ma costante inizia a studiare le specificità̀ e le composizioni del territorio abruzzese; seleziona i vigneti più̀ vecchi e meno produttivi; cura con la medesima ossessione le sue “due cantine” come ama spesso ribadire: quella di cemento, e l’altra, la più̀ importante, sotto il cielo: la vigna. Nel 1987 Gianni incontra Marina Cvetic, un altro momento fondamentale della sua vita personale e professionale: da quell’incontro nasce un legame destinato a imprimere all’azienda una svolta internazionale e a portare il suo messaggio di eccellenza, fuori dall’Abruzzo.
Insieme, Gianni e Marina hanno lavorato duro per la realizzazione dei loro sogni e per ottenere quegli obiettivi che a molti sono sempre sembrati irraggiungibili.
Il rammarico più̀ grande è che oggi possiamo solo immaginare quante e quali intuizioni avrebbero ancora potuto realizzare insieme, senza la prematura scomparsa di Gianni.
Conforta sapere che Marina insieme alla primogenita Miriam Lee, restano saldamente a capo dell’azienda di famiglia, mantenendo vivo lo spirito iniziale e sviluppando la filosofia e i principi innovatori di Gianni.
La sua idea di Trebbiano
“La ricerca delle qualità̀ non è una singola azione di cui ci si può̀ ricordare solo una volta a settimana oppure una volta al mese…è un pensiero costante con il quale ci si sveglia al mattino e ci si addormenta la sera.” Gianni Masciarelli.
I punti cardine per raggiungere l’obiettivo che Gianni Masciarelli si è posto per questo Trebbiano, passano da queste parole chiave: qualità̀, eccellenza, biodiversità̀, centralità̀ del territorio, sogno, emozione, coerenza, rigore e personalità̀.
Per trasformare questa idea in realtà̀, occorre studiare seriamente il terreno, estrapolando quello più̀ vocato; utilizzare una selezione clonale opportuna, scegliendo di dare il giusto tempo alla pianta per crescere, formarsi e rendersi un tutto uno con il territorio circonstante.
Solo così i risultati potranno essere notevoli, tangibili e duraturi.
Solo lasciando spazio al vitigno e alle sue mutevoli interpretazioni di ogni singola annata si può̀ raggiungere l’eccellenza.
I vini diventano di conseguenza “pensati”, con queste finalità̀ e con quelle parole chiave scolpite nella sua mente. Genialità̀ e intuizione prevalgono in questo progetto, sulla logica necessità di far business.
Ecco quindi il Masciarelli Trebbiano DOC (prima annata 1981), prodotto con le uve pregiate provenienti dai vigneti di S. Martino sulla Marrucina (400 mt slm), Loreto Aprutino (350 mt slm) Ripa Teatina (250 mt slm), zone particolarmente vocata grazie all’esposizione eccellente, alla significativa escursione termica ed alla giusta composizione dei “soil” (argilla e medio calcare).
Per secondo arriva il Marina Cvetic Trebbiano d’Abruzzo DOC (prima annata 1991) con uve coltivate in vigneti situati a un’altezza ricompresa fra i 250 e i 390 metri sul livello del mare, allevate secondo la tradizionale pergola abruzzese. Dopo la raccolta, effettuata rigorosamente a mano, il mosto fermenta in barrique nuove al 100% e qui il vino rimane a maturare sui propri lieviti per 18 mesi più̀ un altro anno in bottiglia prima di venire messo in commercio.
Ed ancora, il Castello di Semivicoli Trebbiano d’Abruzzo DOC (proprietà̀ acquistata da Gianni e Marina negli anni 2000, prima annata 2004) dai vigneti di Casacanditella (380 mt slm), esposti a Nord Nord-Est, su terreni di medio impasto e sciolti, allevati a pergola abruzzese. Fermentazione in acciaio e poi 24 mesi in bottiglia.
Amore viscerale per la propria terra, un grande rispetto per la natura ed una forza di volontà̀ incrollabile, completano dunque la ricetta per la realizzazione di questi notevoli esemplari enologici.
“Credo che chiunque si sia chiesto almeno una volta: chi me lo fa fare? La risposta è nel destino della famiglia, nell’amore portato alla nostra terra e nelle soddisfazioni ricevute dal nostro lavoro” : Gianni Masciarelli.
Infine, fortemente voluta da Marina Cvetic, nasce nel 2014 una linea dedicata al suo compagno. Tra questi troviamo Il, Gianni Masciarelli Trebbiano DOC, sempre prodotto con le uve pregiate provenienti dai vigneti di Loreto Aprutino.
Degustazione
Ecco le note degustative di una sorprendente verticale di sei annate del Castello di Semivicoli Trebbiano d’Abruzzo DOC.
Le diverse annate sono state degustate in ordine crescente, ovvero dalla più̀ giovane alla più̀ longeva,: quindi 2018, 2015, 2014, 2011, 2006, 2004.
Di seguito le migliori annate degustate:
Castello di Semivicoli Trebbiano d’Abruzzo DOC 2014
Appare subito molto più̀ carica e “pingue” rispetto alle due versioni che l’hanno preceduta (la 2018 e la 2015) sebbene l’annata, quasi in tutta Italia, non sia stata delle migliori dal punto di vista climatico (molto fresca e bagnata fino ad inizio agosto quando finalmente è arrivato il sole, per un risultato equilibrato sia per quantità̀ che qualità̀). Il naso è un po’ timido all’inizio per poi aprirsi a profumi di fieno, gelso, ribes e frutta a polpa bianca matura. L’ingresso del sorso sembra indurre ad una bevuta gentile ma poi prende corpo e regala un finale davvero muscolare. Equilibrato, mai slegato tra morbidezza alcolica e freschezza, a cui si avvicenda una intensa sapidità̀ che mantiene vivo il finale delicatamente ammandorlato.
Castello di Semivicoli Trebbiano d’Abruzzo DOC 2011
Grande attenzione in vigna per questa vendemmia 2011 visto l’andamento climatico che si è avuto nel territorio durante l’estate che ha condizionato la maturazione fenolica del raccolto. Brillante e luccicante nel calice, al naso offre una netta sensazione lattica, casearia, una leggera nota ossidativa che arricchisce il bouquet insieme ad una mineralistà gessosa seguita da erbe aromatiche come salvia, rosmarino e poi ancora sbuffi di pepe bianco, zenzero e coriandolo. In bocca la freschezza prende subito il sopravvento. È la protagonista del sorso, supportata da una spalla sapida decisa e mai invadente che concede all’acidità̀ di liberare un finale dalla persistenza lunga ed elegante.
Castello di Semivicoli Trebbiano d’Abruzzo DOC 2004
Questa 2004 mi ha colpito (e rapito) davvero molto, già̀ solo guardando il calice. Il dorato è intenso e luminosissimo. La rotazione nel bicchiere fa intuire una grande carnosità, una dirompente e opulente avvolgenza che già immagino di assaporare al sorso. Accostando il naso si riceve una sensazione di incredibile eleganza, di raffinatezza. Dapprima la frutta a polpa gialla e subito dopo persistenti note agrumate di lime e zest. Nel bicchiere affiora il frutto dolce, quasi tropicale, dalla papaya alla pesca gialla matura, fino ad arrivare al miele millefiori e ad un omaggio floreale di lavanda. Chiude una nota fumé, quasi di cenere. Il sorso è un’esplosione di luce e di sole: i 14° e mezzo di alcol non sono affatto sgarbati ma si fondono perfettamente con il frutto; sapidità e freschezza sono ben amalgamate, in un tutto davvero armonico. La persistenza è sbalorditiva anche perchè l’acidità rimane sempre ben presente nel lungo finale. Questa forse era l’evoluzione e la longevità che Gianni Masciarelli aveva in mente per il suo Trebbiano del Castello. Un vino che non ti aspetti, fuori dagli schemi, fuori dalla norma, particolare, unico!