“Nato per sbaglio in Italia” l’8 maggio del 1978, mezzo italiano e mezzo olandese, Eugenio Boer cresce in Olanda, a Voorburg, fino all’età di 7 anni, quando la famiglia si sposta in Italia, a Sestri Levante (GE), per seguire il padre, allora agente di commercio. La sua passione per la cucina inizia molto presto, quando a soli 3 anni Eugenio inizia a mettere le mani in pasta insieme alla nonna materna, cuoca di professione, che si era trasferita nei Paesi Bassi portando con sé la sua impastatrice dell’Imperia.
La sua lunga esperienza nella ristorazione lo porta a solcare diverse cucine accumulando tantissima esperienza.
Nel dicembre 2014, apre Essenza a Milano, che nel novembre 2017 lo porta a ottenere la sua prima Stella Michelin.
A giugno 2018 a Milano apre [bu:r], il suo ristorante, la cui insegna fuga ogni dubbio sulla pronuncia del cognome dello Chef.
Ciao Eugenio, come stai? … prima di tutto voglio che tutti sappiano, una volta per tutte, come si pronuncia il tuo cognome!
Ciao Ale, stiamo benissimo grazie! E tu? Il mio cognome si pronuncia Bur (ho provato a chiamare anche il mio ristorante con la pronuncia fonetica del mio cognome… ma…. niente )
Io sto bene, me la cavo! ti faccio una domanda che rilette il momento storico, ma è d’obbligo: come ti stai tenendo impegnato durante la pandemia Covid-19?
All’inizio Carlotta ed io ci siamo dedicati ai social tenendo compagnia alle persone da casa con le mie ricette, l’abbiamo fatto in maniera divertente sperando di arrivare in modo genuino e diretto alle persone che ci seguivano. Poi un pomeriggio, ci siamo guardati e ci siamo detti: “facciamo il delivery?”. In 48 ore abbiamo attivato la macchina ed eccoci a casa dei milanesi con il nostro servizio a domicilio di gastronomia. Una prospettiva nuova che ci diverte e rende felici le persone che mangiano la mia cucina (chiaramente più tradizionale, diversa da quello che offriamo al ristorante)
Credo sia interessante il tuo percorso; perché sei diventato un cuoco? Le tue tappe e come sei atterrato in Italia ma soprattutto perché!
“Nato per sbaglio in Italia” l’8 maggio del 1978, mezzo italiano e mezzo olandese, cresco in Olanda, a Voorburg, fino all’età di 7 anni, quando la mia famiglia si sposta in Italia, a Sestri Levante (GE), per seguire mio padre, allora agente di commercio. La mia passione per la cucina inizia molto presto, quando a soli 3 anni inizio a mettere le mani in pasta insieme alla mia nonna materna Carlotta, cuoca di professione, che si era trasferita nei Paesi Bassi portando con sé la sua impastatrice dell’Imperia. A 12 anni insisto per andare a lavorare in un ristorante, ma mio padre vuole che continui gli studi. Trovo così un compromesso frequentando la scuola al mattino e lavorando di pomeriggio, mantenendo un equilibrio che mi porta a diplomarmi in ragioneria e nel frattempo a imparare le basi della cucina facendo pratica in alcuni ristoranti sestresi tra cui il Pescador e il S. Anna. Dopo sei anni di apprendistato in Liguria sbarco in Sicilia, all’Osteria dei Vespri di Palermo, dove resto per quasi due anni. Mi sposto poi in Germania, a Berlino, dove rimango per tre anni. Inizio al Bacco – “ristorante della dolce vita berlinese”, il primo di cucina italiana in città – per proseguire da Vau, dove avviene il mio primo approccio con una brigata veramente grande e articolata e dove imparo cosa significhi organizzazione e precisione. Decido poi di tornare in Italia, a Palermo, dove lavoro all’Osteria dei Vespri per quasi 5 anni, diventando il sous-chef di Alberto Rizzo, depositario di una grande cultura gastronomica, che definirei “di mezzo” per via delle sue origini per metà parmensi.
Mi immergo così in un territorio che mi travolge di odori, sapori e rumori, assorbendo il mix di culture che per me avevano la città e imparando a realizzare i piatti tradizionali locali rivisti da una persona che aveva girato e conosciuto il mondo. Capisco quindi che la cucina ha un enorme valore culturale imparando a trovare nel passato la chiave per leggere il futuro. Proseguo la mia formazione alla corte di Gaetano Trovato all’Arnolfo di Colle Val d’Elsa (SI), dove imparo cos’è la grande ristorazione facendo mio il concetto di intensità dei sapori unita all’estrema eleganza. Arrivo poi a La Leggenda dei Frati, a Monteriggioni, fermandomi in provincia di Siena per quasi 4 anni facendo mia la cultura di una regione meravigliosa come la toscana. Continuo poi nella mia scoperta delle regioni italiane caratterizzate da una tradizione gastronomica molto forte fino ad approdare nel 2011 in Alto Adige, al St. Hubertus, da Norbert Niederkofler. Qui scopro la cucina di montagna, apprezzandone l’attaccamento al territorio “non facile”, oltre che il concetto di famiglia che la brigata mi trasmette. Arrivo così a Milano dove mi imbarca in un progetto pionieristico incentrato sul vino naturale: Enocratia. Il fortunato incontro con Stefano Saturnino mi porta poi ad aprire il Fishbar de Milan, concept innovativo che mi fa abbracciare un mondo della ristorazione in chiave più smart, giovane e alla portata di tutti. Dopo un anno, mi dedico ad alcune consulenze e, nel dicembre 2014, apro Essenza, che nel novembre 2017 mi porta a ottenere la mia prima Stella Michelin. A giugno 2018 a Milano apro [bu:r], il mio ristorante, la cui insegna fuga ogni dubbio (forse) sulla pronuncia del mio cognome.
C’è chi definisce la tua cucina di stampo borghese, ti ci ritrovi in questa lettura?
La mia cucina, per necessità e per credo, è in fase di cambiamento. Sarà una cucina volta e dedita alle grandi ricette italiane, a un menù 100% nostrano, fatto di soli prodotti della nostra terra. Sarà un omaggio al nostro Bel Paese, un viaggio dal Nord al Sud che toccherà tutte le città italiane in cui sono stato e ne racconterà gusti e sapori. Sarà sempre una cucina che crede in un dictat che ripeto spesso: “La vera tradizione è la nuova innovazione”.
Chi è secondo te il custode – oggi – delle chiavi della cucina appunto definita borghese?
Credo che lo siano tutte quelle persone che come me hanno quell’esperienza gastronomica sia da cuoco che da avventore…molto complessa e molto lunga.
Chi è stato il tuo grande maestro?
Tutte le persone che ho incontrato a livello lavorativo hanno lasciato dentro di me un tassello che aggiungendosi a quelli di tutti gli altri, ha creato un grande puzzle che oggi è diventato il mio bagaglio culturale e gastronomico. Ho avuto la fortuna di avere più di un maestro.
Come è la cucina olandese, anzi, come era e come è oggi?
Una cucina molto semplice, che non porta con sé una grande storia. La cosa divertente che per paradosso la cucina tipica olandese è per lo più indonesiana, visto che ne sono stati i colonizzatori. Oggi sta cercando di trovare una sua identità, provando a sponsorizzare non solo i prodotti del territorio ma anche il territorio stesso.
In una tua recente intervista hai dichiarato: “Vado avanti, non taglierò il personale né ridurrò i prezzi”, era una provocazione nei confronti di qualche collega oppure una dichiarazione d’amore per la qualità della tua cucina e del tuo ristorante?
Più che una provocazione è una speranza, o meglio, un desiderio. La mia brigata è come una famiglia, difficile pensare al nostro ristorante senza qualcuno di loro. Carlotta ed io stiamo pensando a delle soluzioni per far si che questo accada davvero. È un momento difficile e dobbiamo adattarci, non spegnere il cervello. Questo è il momento di far girare le idee, di reinventarsi, di “seguire il flow” direi, per sdrammatizzare un po’.
Quanto è importante la sala in un ristorante? Nel dettaglio: in proporzione quanto si dovrebbe investire?
Tantissimo, la sala e la cucina devono essere indissolubili, non potrebbe esistere l’uno senza l’altro. La sala è il racconto della cucina, è il proseguo dei piatti. In cucina scopri la magia, in sala la vivi. L’investimento quindi direi che è 50 e 50.
Quale è il vino preferito da Eugenio Boer?
Il mio vino preferito è: il vino buono. Non mi interessa quale e dove, l’importante è che sia la massima espressione di quel territorio.
Un piatto che ti ha sconvolto in gioventù ed un piatto che ti ha sconvolto ultimamente.
La pasta al forno che mi fece un giorno a casa Alberto Rizzo in Sicilia. 6 mesi fa, invece, la Lepre alla Royale di Luigi Taglienti. Incantevole, straordinaria.
Il piatto di cui vai più orgoglioso.
Non sono orgoglioso di un solo piatto, per me le mie creazioni hanno tutti lo stesso valore. Sono stati i clienti a definirne la popolarità.
L’elemento in cucina che più apprezzi?
L’umiltà.
Se non fosse uno stimato chef chi sarebbe Eugenio Boer?
Quello che sono prima di essere uno chef: un cuoco
In quale cucina avresti voluto formarti o prestare servizio? Chi è un cuoco da cui avresti voluto attingere?
Se fossi vissuto in un’altra epoca mi sarebbe piaciuto lavorare nel ristorante di Peppino e Mirella Cantarelli.
Un tuo grande pregio e un tuo grande difetto.
La testardaggine, sotto entrambi i punti di vista.
Il ristorante che più ti ha colpito fino ad oggi come cliente.
Odette, a Singapore. Incredibile
Tre nomi di tre colleghi che apprezzi particolarmente e perché.
Luigi Taglienti per la grande cultura, la sua innata eleganza e capacità come cuoco, Niko Romito per la sublimazione dell’apparente semplicità, Norbert Niederkofler per aver creduto in un territorio e in uno stile di vita rivolto alla natura e alla sostenibilità che dovrebbe essere un pensiero replicabile per tutti
Il sogno nel cassetto di Eugenio?
Creare una famiglia con Carlotta
Chi ringrazi nella vita?
Tutti quelli che hanno creduto in me, perché hanno permesso che io credessi in me stesso.