In Italia esiste una tradizione profonda che lega alcuni vini rossi di moderata fattura ai gesti quotidiani di alcune aree geografiche. L’X Factor che invita alla scoperta di questo tesoretto di vini croccanti e pronta beva è racchiuso nel paradigma “vini leggeri, per niente banali”.
Vini rossi che ti fanno arrossire per la gradevolezza, vini non cervellotici, il cui consumo è perfettamente integrato con il luogo d’origine e che ti fanno sentire in perfetta sintonia con l’ambiente circostante.
Riscaldarsi con un Nerello a 1.700 mt sull’Etna, godersi i profumi della Maremma con un Sangiovese nel bicchiere, stupirsi con il corredo aromatico di un Aleatico sulle colline vulcaniche dell’alto Lazio, il Rossese ed il mare della Liguria. Tutto ciò non ha prezzo, si ha la sensazione di non aver bisogno di altro.
Come scrive saggiamente il geniale Lino Maga in etichetta sul suo pittoresco Barbacarlo alla voce “consigli per l’abbinamento”: si consiglia di essere in due “la bottiglia e chi la beve”.
I vini in oggetto rappresentano un’ottima risorsa anche da conservare a casa.
Sono un asso nella manica da tenere a portata di mano quando il risultato di una lunga ed estenuante sessione in cucina ti ha fatto mettere in tavola una profumata pizza, un bel pane croccante o una bella pasta fatta in casa.
Il viaggio potrebbe essere interminabile nel paese con una superficie vitata da capogiro e numero di vitigni record, ma questo itinerario non ha pretese enciclopediche è un viaggio puramente emozionale.
#1 Ciliegie e canederli.
La cucina è notevole, i panorami mozzafiato e nonostante ci sia un intimo richiamo per i bianchi e una grande dedizione alla cura del principe Pinot Nero (con i migliori risultati sul territorio italiano), qualsiasi oste Alto Atesino si scioglierà in un brodo di giuggiole se sente parlare di Schiava.
La grande bellezza è tutta lì, quando il prodotto locale ha valore affettivo e viene tenuto in alto all’unanimità.
Il consorzio dei vini dell’Alto Adige scrive nei confronti di questo vitigno le seguenti parole: “un rosso beverino che avanza imperterrito”. La definizione è ineccepibile, la produzione sta vivendo un buon momento, la superficie vitata è diminuita ma la qualità ha raggiunto un ottimo standard. La zona d’elezione è attigua a Bolzano, Lago di Caldaro.
Obiettivamente la Schiava (o Vernatsch come la chiamano localmente) è un buon bere, la temperatura di servizio giusta è una conditio sine qua non per godersela. E’ categoricamente vietato superare i 14/15 gradi per portare rispetto al contesto Dolomitico.
Ottimo carburante per gustosi pranzi e post hiking. Da bere senza sensi di colpa perché l’invecchiamento non rende la Schiava più virtuosa.
#2 Viaggio spirituale.
La concorrenza è sleale in Piemonte, il manuale di ampelografia della mastodontica regione presenta più voci della flora e fauna autoctona delle Galapagos.
Quindi come si fa ad attirare l’attenzione verso sé stessi quando intorno a te c’è sua maestà il Nebbiolo ed un cavallo da corsa come il Timorasso? Il problema è che, anche abbassando il tiro ad un contesto più informale, in Piemonte ti puoi sbizzarrire con Cortese, Arneis, Nascetta, Freisa, Dolcetto eccetera, addirittura se ami il residuo zuccherino o le bollicine hai l’imbarazzo della scelta!
Lo strano caso del Ruchè però vale la pena di essere analizzato. La storia di questo vitigno pare abbia avuto un momento di slancio grazie ad un sacerdote di Castagnole Monferrato. Lo stimato Don Giacomo Cauda rispolverando una vecchia vigna con uve a suo avviso meritevoli, si mise a suo tempo in contatto con le autorità locali in materia di agraria, per poi arrivare al traguardo della denominazione di origine controllata e garantita ottenuta nel 2010.
Il vitigno viene coltivato prevalentemente nell’Astigiano ed il vino che ne deriva è molto lontano da un vino pronta beva da poche pretese, con molto colore e carattere vinoso. Un vino con uve ruchè è caratterizzato da un piacevolissimo spettro aromatico, dolcemente speziato e molto originale.
Da custodire gelosamente nel paniere.
#3 Picnic vista lago.
Dal confine regionale in giù se ne sente raramente parlare, ma il vitigno merita la menzione e l’assaggio.
Il Groppello è un’autentica delizia. Questo vitigno è presente principalmente sulle sponde lombarde del Garda, in Valtenesi. La tradizione del Garda impiega molte delle uve Groppello nella produzione dei rosati, in quanto uno dei pochi spotlight importanti per il rosato in Italia, eppure anche l’intrigante versione rosso, si fa voler bene da chi ama il vino.
Il Groppello vinificato in rosso con formaggi locali, tovaglia a quadri e buona compagnia va sperimentato in quanto incarna perfettamente lo stile leggiadro dei vini del Garda. Vinoso ed invitante.
Il problema è accaparrarselo vista la piccola produzione. Tuttavia, un buon motivo per visitare la zona.
#4 Ciliegie e busiate.
La situazione è analoga al Piemonte: emergere in un contesto così fertile e possente è un’impresa. Però quando la stoffa c’è, il riscatto arriva.
Sebbene il Frappato sia custodito nel disciplinare del Cerasuolo di Vittoria da tempi immemori, numerosi vignaioli siciliani si stanno adoperando per far conoscere questo vitigno indigeno in purezza.
Il frappato così succoso e versatile è esattamente quello che ci vuole nella torrida Sicilia del sud. Spesso usato per addomesticare i tannini di altri vitigni in blend, ma appagante per il pagato grazie alla sua amenità anche da solo. La coltivazione è principalmente collocata in provincia di Ragusa.
L’ambizioso progetto del vino Siciliano e dei vignaioli con fumanti attributi e mentalità aperta hanno portato ottimi risultati anche in termini di riconoscimento internazionale, con menzioni su riviste di settore ed export con numeri significativi.
Vino da tenere a mente quando si ha voglia di sorridere e non si deve guidare, ça va sans dire.
In contesti dove l’ospitalità è un valore aggiunto di grande pregio e si respira la materia prima di qualità, abbiamo l’opportunità di venire accolti e guidati in percorsi enogastronomici imprevedibili. Se ci lasciamo andare, le nostre guide potranno proporci con naturalezza l’abbinamento locale perfetto, senza troppi giri di parole e nessuna presunzione.
In effetti, la più grande autorità in editoria gastronomica, la rossa Michelin, premia col massimo riconoscimento, l’attività che sia meritevole di essere la destinazione di un viaggio. Questa logica è applicabile con meno onere all’enoturismo di scoperta, ci sono tante località che offrono un coacervo di prodotti locali che valgono il viaggio, che meritano la tappa, piccole realtà che non possiamo neanche immaginare perché poco conosciute.
La meraviglia dell’itinerario enogastronomico domestico è incredibile. È una risorsa imprescindibile per un appassionato che colleziona bottiglie come piccoli trofei. La cantina si arricchisce di un rimarchevole potere evocativo, denso di ricordi.
Il rosso casual non deve mai mancare al rientro da un viaggio, è come il little black dress nel guardaroba femminile.