Vincenzo Donatiello: lucano, sommelier, classe 1985, originario del Vulture e gavetta nella ristorazione, cresce professionalmente tra la Puglia, dove frequenta l’istituto alberghiero di Vieste, e la Romagna, con le prime esperienze lungo la riviera adriatica.
Nel 2009 sbarca a La Frasca di Milano Marittima (all’epoca ** Michelin) alla corte di Gianfranco Bolognesi, ed è la prima di una serie di esperienze stellate che lo vedranno impegnato ancora al ristorante Pascucci al Porticciolo di Fiumicino (* Michelin) ed al Piastrino di Pennabilli (* Michelin).
Da Febbraio 2013 approda a Piazza Duomo di Alba, neo tristellato Michelin, regno dello chef Enrico Crippa.
È stato Miglior Sommelier Junior d’Italia nel 2004 e Miglior Sommelier di Romagna nel 2010, per Italia a Tavola è stato Personaggio dell’Anno 2013, Miglior Direttore di sala per la Guida del Touring 2016 ed è stato nominato Maitre dell’anno per la Guida ai Ristoranti d’Italia 2018 de L’Espresso.
Ciao Vincenzo, voglio partire dall’inizio e la prima domanda è sempre quella più curiosa; perché hai deciso di intraprendere questa carriera?
Sin da giovanissimo ho pensato che avrei lavorato nella ristorazione ma la prima idea era quella di diventare chef. Al momento della mia prima stagione estiva, il mio datore di lavoro dell’epoca mi propose un primo approccio alla sala con la promessa di farmi entrare in cucina nelle stagioni successive. Ecco, non ha dovuto mantenere quella promessa perché sin dal primo giorno in sala al contatto con gli ospiti ho capito che quella sarebbe stata la mia strada, come se una sorta di vocazione all’ospitalità avesse scelto il momento di palesarsi.
Un argomento di estrema attualità; Coronavirus: come cambierà il mondo del vino e della ristorazione dopo questa pandemia secondo te? Come stai vivendo queste interminabili giornate?
Non è un momento facile e non è una domanda facile: nessuno di noi ha la sfera di cristallo o la ricetta salva-crisi. Sicuramente dovremo aspettare i protocolli di sicurezza per capire come e quanto cambierà il nostro mondo. Un dato certo è che la ripresa non sarà immediata con le attività chiuse per un paio di mesi e il turismo che farà fatica a decollare per quest’anno. Auspico un lavoro orchestrato e una filiera solidale tra agroalimentare, accoglienza, settore vinicolo, ristorazione con l’appoggio politico ed economico del Paese; senza questo credo che una buona percentuale di attività rischia di non riaprire o di chiudere entro l’anno.
Le mie giornate scorrono tra studio, qualche assaggio e un costante aggiornamento sull’evolversi della situazione per farmi trovare pronto e avere idee fresche alla ripartenza.
Chi è stato il più grande maestro di Vincenzo Donatiello?
Una figura che è apparsa più volte nel corso della mia vita professionale è Roberto Gardini: il primo incontro al Miglior Sommelier Junior di Italia, poi con la formazione Ais e in seguito anche al suo fianco a La Frasca di Milano Marittima (RA), la mia prima palestra stellata. A lui devo molto sia per la conoscenza del Mondo del vino sia per quanto riguarda l’approccio alla professione e all’accoglienza. Con lui non posso non citare Gianfranco Bolognesi e Gabriele Casadio, insieme a La Frasca eravamo un quartetto mica male!
Come si gestisce una cantina come quella di Piazza Duomo?
Con l’oculatezza del buon padre di famiglia per quanto riguarda l’aspetto economico: ogni anno vendiamo circa 12mila bottiglie e quando si ritorna sul mercato per gli acquisti bisogna ragionare molto e non lasciarsi prendere la mano. Cerco di abbinare la scelta delle produzioni che mi piacciono di più a quelle conosciute che si “vendono da sole”. Questo Modus Operandi mi permette di mantenere in equilibrio gli acquisti con etichette che si rifinanziano da sole e finanziano la spesa di stock.
Da quest’anno ho pensato anche a un Wine Program, un elemento già visto nel mondo ma che da noi fa fatica a prendere piede. Ho sempre preferito lavorare “a braccio” nella rotazione di cantina ma oggi la quantità di bottiglie che vendiamo, ci obbliga a conciliare ispirazione e programmazione
Le tue regole per creare una carta dei vini? Da dove si parte e quando puoi ritenerti soddisfatto?
Partiamo dal presupposto che ogni carta dei vini deve essere pensata e realizzata seguendo lo stile del locale in cui si opera, la sua cucina, il mercato di riferimento inteso come territorio e richieste della clientela, i propri gusti personali.
Per quanto mi riguarda, io mi affido in primis al territorio nel quale opero, cercando il meglio proposto e quanto amo di più; tengo in considerazione poi quelle etichette conosciute che incontrano le confort zone della clientela perché ritengo che una carta dei vini, così come ogni elemento dell’accoglienza, non debba mai far sentire fuori posto il cliente; penso inoltre che riuscire a creare una lettura accattivante possa arricchire la carta dei vini, quindi bisogna portare nella selezione e nella grafica uno stile personale che tolga l’effetto elenco telefonico.
Domandona: Italia o Francia?
Io sono un grande appassionato di Borgogna, quindi la mia risposta potrebbe sembrare scontata!
Aldilà dei miei gusti personali, penso però che a noi manca un pezzo di storia per raggiungere i nostri cugini d’Oltralpe: abbiamo insegnato loro le tecniche di viticultura ai tempi dei Romani, ma abbiamo un gap dettato da quanto hanno fatto loro nei secoli successivi. Noi possiamo fare ancora tanto a livello comunicativo, identitario e di cooperazione, smettendo magari di seguire questa o quella moda come è stato negli scorsi decenni, penso però che siamo sulla buona strada.
Continuo: preferisci bollicine, vini bianchi o rossi?
Tutti e tre purché di qualità. Quando voglio farmi un regalo, stappo un grande Pinot Noir di Borgogna.
Tre vini italiani – annate comprese – in grado di sfidare le curve del tempo secondo il tuo palato (è una domanda che faccio a molti…)
Per quanto assaggiato a oggi dico Masseto 1988, Barbaresco Bricco Asili 1996 Ceretto, Trento Classico Giulio Ferrari 1994 Ferrari.
Una domanda secca: il più grande vino che hai bevuto fino ad oggi?
Chambertin Grand Cru 2009 Domaine Leroy.
Tre nomi di tre colleghi che apprezzi particolarmente e perché.
Mi metti in difficolta perché la lista potrebbe essere lunghissima, in quanto penso che oggi in Italia abbiamo una classe di sommellerie e accoglienza tra le migliori al mondo.
Farò tre nomi ma dovrebbero essere molti di più.
Gianni Sinesi del Reale a Castel di Sangro, Alfredo Buonanno del Kresios di Telese Terme e Francesco Cioria del San Domenico di Imola.
Le motivazioni sono le stesse per tutti e tre: hanno una visione del mondo del Vino personale e non scontata, grandi doti umane e un approccio moderno, caratteriale e tipicamente italiano all’accoglienza.
Il ristorante che più ti ha colpito fino ad oggi come cliente (non vale quello per cui lavori!)
Sono tantissimi: dal Lido 84 a Le Calandre, da Uliassi al Reale, da La Madonnina del Pescatore al Kresios, per non parlare delle esperienze internazionali come The Clove Club, la Maison Lameloise o Elkano. Però c’è un ristorante che negli ultimi mesi mi ha fatto emozionare tanto quanto la prima volta da cliente a Piazza Duomo ed è il Pagliaccio a Roma: Anthony Genovese ha una cucina personale, forte, di gran gusto che oggi ha trovato una grande maturità di espressione. Ho amato molto anche lo stile di accoglienza, il servizio e la Carta dei Vini: Matteo Zappile sta facendo un lavoro straordinario e ha un grande team che lo segue.
Cos’è per te il successo personale nel mondo del vino?
Non credo esista il successo personale nel mondo del vino: come in ogni settore e attività ci si affida a una squadra, la si costruisce e la si fa crescere. I successi vanno condivisi con chi ti sta accanto e ti supporta.
Il futuro di Vincenzo Donatiello?
Bella domanda ma forse oggi non ho una risposta chiara!
Vivo molto il presente e cerco di esplorare quante più strade possibili: dall’accoglienza alla comunicazione del vino, sto preparando l’uscita del mio primo libro e la presentazione della mia etichetta di Gin, ho iniziato a fare formazione e non sottovaluto la potenzialità dei social. Sicuramente vedo un futuro di grandi impegni, cosciente che potrò raccogliere i frutti di quanto continuo a seminare.
Un messaggio al mondo del vino
È un momento difficile, di crisi e soprattutto incognita. Arriverà il momento di uscire da tutto ciò e mi auguro che ci faremo trovare pronti a ripartire con idee, passione e volontà di sacrificio, facendoci accompagnare dal grande senso di solidarietà che ci appartiene come popolo italiano ed un pizzico di genialità e follia che son sicuro ci aiuteranno a superare un momento così duro!
(Credits ph: Marco Gualazzini per Unsocials)