AL VECCHIO TREBBO
Via Polenta, 291 Bertinoro (FC)
Tel: 0543/444002
Giorno di chiusura: lunedì
Ferie: mai
Tovagliato: tovaglie di carta
Carta dei vini: vino sfuso, qualche etichetta di vino bianco e rosso
Coperti: 120
Disponibilità di camere: no
Disponibilità di spazi esterni: sì
Prezzo medio senza bevande: 20 €
SPECIALITÀ STAGIONALI
In autunno i cappellacci ai funghi porcini, in estate i tortelli burro e salvia, in inverno il coniglio e il galletto al forno, in primavera la torta della nonna.
“Ombra di un fiore è la beltà, su cui/ bianca farfalla poesia volteggia”, scriveva Giosuè Carducci della pieve di San Donato a Polenta, per poi domandarsi; “Forse qui Dante inginocchiossi”.
Dopo aver sorvolato il profilo austero dell’edificio medioevale e la fronte corrugata dei due sommi poeti, quelle ali oggi probabilmente sbattono nel vicino giardino del ristorante Vecchio Trebbo, sullo sfondo delle morbide colline di Teodorano.
Un luogo intriso della poesia del genius loci, dove corsi e ricorsi della storia si avvolgono attorno ai quattro rebbi come la matassa antica di una tagliatella.
Il nome, innanzitutto: la parola “trebbo”, dal lativo trìvium, luogo di incontro, identifica una combriccola che si riunisce per fare bisboccia. Trébb, insomma, è sinonimo di convivialità. Tanto che nel 1920 gli animatori della rivista “La pie”, intitolata alla piadina, vollero così chiamare le loro riunioni di scena in varie località romagnole, volte a salvaguardare il dialetto e le tradizioni popolari.
L’intento delle donne di casa Morellini non è così diverso; si tratta sempre di preservare un giacimento. Nella fattispecie l’oro delle tagliatelle e della pasta fresca, che qui viene stesa al matterello da due signore del paese, come si faceva nei ben tempi andati.
Ma spiccano anche le paste ripiene, per esempio i classici tortelli burro e salvia, i cappelletti e in stagione i gustosi cappellacci ai porcini, conditi con i funghi trifolati, talvolta farciti alle erbe con sugo di verdure per la clientela vegetariana,
Le vestali si chiamano Marina, Emanuela e Beatrice. La prima sovrintende alla cucina in senso lato; le appartengono la concezione del menù e la messa a punto delle singole ricette, ma anche le mani finiscono spesso e volentieri in pasta, che si tratti della sfoglia o dell’apparecchio per piadine. Compiti che assolve da autodidatta navigata, all’opera da sempre dietro il pass.
La figlia Emanuela, cresciuta nella ristorazione, ha preferito collocarsi in sala fin dal 1997, quando ha deciso di rilevare questa storica trattoria delI’Ottocento, con l’aiuto nel fine settimana della nipote Beatrice, classe 1991.
È seguito un rinnovo degli ambienti eseguito con grande discrezione, sulle tonalità del beige, che ha ingentilito anche la mise en place, i tessuti e il bar. La specialità, dicevamo, restano le paste fresche, che siano all’uovo (tagliatelle, pasta verde, tortelli, cappelletti e cappellacci) oppure senza, come nel caso degli strozzapreti. Mentre fra i secondi spiccano le carni alla brace, soprattutto la fiorentina, che qui viene servita da 600 grammi in su.
Il venerdì a pranzo c’è anche un menù di pesce, che comprende un primo fisso, i tagliolini allo scoglio, e un secondo variabile, per esempio le seppie con piselli, il baccalà o la coda di rospo.
Il comparto vino affianca a una scarna selezione di bottiglie, soprattutto bianco, le caraffe di vino sfuso della produzione locale.