Classe 1993 è nativo di Imola. Dopo essersi diplomato presso l’istituto alberghiero “Pellegrino Artusi” di Riolo Terme (RA) e dopo una esperienza già importante nella sua città natale presso il ristorante San Domenico, decide di partire per Londra per un’esperienza al ristorante Le Gavroche. Successivamente rientra in Italia e rimane per circa un anno nel ristorante di Carlo Cracco a Milano. Nel 2014 decide di perfezionare ulteriormente le sue conoscenze sul vino, spostandosi presso l’Enoteca Pinchiorri a Firenze, dove si fermerà per oltre tre anni. Nel 2017 Carlo Cracco lo richiama per la sua nuova importante apertura in Galleria Vittorio Emanuele II.
Bentrovato Alex, partiamo subito da un argomento triste che sta condizionando la vita di tutti in questo momento, soprattutto in Italia: il Coronavirus. Come ti tieni occupato?
Ciao Alessandro, in queste tristi settimane riesco finalmente a passare più tempo con la mia famiglia, visto che siamo tutti riuniti a casa. Inoltre, riesco a dedicare tempo allo studio e a leggere libri sul vino, senza dimenticare le piccole azioni quotidiane che per tanti sono scontate, ma per chi lavora nella ristorazione, non sono affatto scontate, come ad esempio guardare un film alla sera dopo aver cenato. Credo che ogni tanto ci vogliano dei periodi così, in cui si stacca un’attimo, e si vive la quotidianità a mente fredda, senza la frenesia di tutti i giorni. Ovviamente, mi auguro che questo brutto periodo possa passare il prima possibile, questo virus sta causando troppi morti in tutto il mondo.
Una curiosità: sei originario di Imola, ti senti più emiliano o romagnolo?
Bella domanda, dalla quale potrebbe nascere un dibattito infinito. Premetto che Imola è l’ultima grande città sotto la provincia di Bologna, quindi sulla carta siamo ancora in Emilia. Ma come ben sai, si dice che il confine tra Emilia e Romagna sia il torrente Sillaro, quindi Imola si colloca già in Romagna. Venendo alla tua domanda, rispondo senza dubbio che mi sento romagnolo, per cultura e soprattutto per tradizione.
Andiamo subito a bomba su argomenti interessanti per i lettori: la cantina da te gestita fino allo scorso anno del Ristorante Cracco in Galleria a Milano è stata indicata da Wine Spectator tra le migliori al mondo proprio nel 2019. È una grande soddisfazione. Come era quando sei arrivato e quale è stato il tuo apporto, dove hai lasciato il segno?
È vero, hai detto bene, il Grand Award 2019 di Wine Spectator è stata una grandissima soddisfazione. Soltanto 100 ristoranti in tutto il mondo dal 1981 (prima edizione) ad oggi. Quando sono arrivato, la cantina aveva già un’ottima base, ma per arrivare al Grand Award ci voleva sicuramente qualcosa in più. C’erano circa mille referenze, principalmente di Italia e Francia. Il mio compito è stato quello di cambiare completamente il “wine program” come lo chiamano gli americani. Tradotto in parole semplici, sono partito da un lavoro di selezione per muovere gli schemi della precedente carta dei vini sotto varie prospettive: profondità, quindi vecchie annate (e trovare le bottiglie in condizioni perfette e a prezzi ragionevoli ti confesso che non è mai facile!), ampiezza quindi ampliare la scelta inserendo nuovi produttori e nuove referenze (inclusi i grandi formati), tutto in armonia con il menù del ristorante e, per concludere, presentare la carta in maniera impeccabile quindi con produttore, nome del vino e annata sempre aggiornati ogni giorno. In circa due anni di lavoro sono arrivato ad avere in carta circa 2500 referenze con verticali pazzesche, penso ad esempio a tutte le annate del mitico Sassicaia, dal 1968 (prima annata commercializzata) ad oggi, provenienti dalla collezione privata di Giacomo Tachis (storico enologo dei più grandi vini toscani), oppure alle 100 referenze di Domaine de la Romanée-Conti, uno dei vini più ricercati e valutati al mondo. Devo ammettere, che arrivare in soli due anni a questo riconoscimento è stato incredibile. Considera che ogni anno circa 4000 ristoranti da tutto il mondo si iscrivono al programma di Wine Spectator e il tempo medio per arrivare al Grand Award è di circa 6 anni. Inoltre, sono contento perché una città come Milano doveva assolutamente avere un ristorante con questo riconoscimento. L’ultimo ristorante in Italia ad ottenere il Grand Award era stato La Ciau del Tornavento in Piemonte nel 2013, quindi ben 7 anni fa.
Hai passato tre anni all’Enoteca Pinchiorri con un maestro come Giorgio, come è stato vivere una delle cantine più prestigiose al mondo?
È vero, dal 2014 al 2017 ho lavorato all’Enoteca Pinchiorri di Firenze. Definirlo ristorante credo che sia riduttivo, per me è un’istituzione, sotto tutti i punti di vista. La prima volta che ci andai fu nel 2011, chiesi ai miei genitori di portarmi lì a cena per festeggiare il mio diciottesimo compleanno. Avevo sentito parlare della mitica cantina, ma un conto è sentirne parlare, un conto è vederla. Quella sera feci una promessa con me stesso, promettendomi un giorno di mandare il curriculum. Lavorare all’Enoteca Pinchiorri a fianco di un maestro come Giorgio Pinchiorri, ti forma per tutta la vita. Non solo dal punto di vista professionale, ma anche umano. È stata una grande palestra, la possibilità di aprire grandi vini ogni sera con una costanza incredibile, ha fatto in modo che mi creassi un palato impostato su un metro molto rigido. Mi ritengo molto fortunato alla mia età ad aver vissuto una delle più grandi cantine del mondo per tre anni, non capita sicuramente a tutti di lavorare con una carta dei vini con 4000 referenze e quasi centomila bottiglie. Sono convinto che la ristorazione al giorno d’oggi, ed in particolare la sala e la sommellerie, abbia bisogno di più punti di riferimento come lo è l’Enoteca Pinchiorri da quasi mezzo secolo.
Da quello che ho potuto notare sei un grande appassionato di vini francesi, sei più orientato sui Pinot Noir di Borgogna oppure sugli immortali di Bordeaux?
Si, sono un grande appassionato di vini francesi. Inizialmente, devo ammettere che non ci credevo neanche io che i vini francesi fossero buoni come quelli italiani, se non di più…l’esperienza all’Enoteca Pinchiorri, mi ha cambiato in maniera importante questa prospettiva. Mettere a confronto Bordeaux e Borgogna non si può, sono vini troppo diversi tra loro, culture e mentalità che non si sposano, anzi, direi che sono opposte. A questa domanda ti rispondo che amo la Borgogna giovane, quindi da bere nel range di 15/20 anni, e allo stesso tempo amo i Bordeaux vecchi, quindi da bere dopo i 40/50 anni. È chiaro che quello che ti sto dicendo è solo un’opinione personale e soggettiva, dipende tanto da altri fattori come ad esempio con chi bevi la bottiglia o con chi passi la serata, se la bottiglia è stata conservata bene, se l’annata è stata modesta o grande. E poi ci sono le eccezioni….
Tre vini italiani – annate comprese- in grado di sfidare le curve del tempo secondo il palato di Alex.
Sicuramente ti dico: Barbaresco Sorì San Lorenzo 1970 Gaja, Brunello di Montalcino Riserva 1955 Biondi Santi e Marsala Superiore Riserva 1860 De Bartoli. Non me l’hai chiesto, ma concedimi anche tre vini francesi: Château Cheval Blanc 1947, Château Mouton Rothschild 1945 e Echezeaux 1982 Henri Jayer.
Voglio continuare su questo filone; un vino bianco ed uno rosso sconosciuti ai più che secondo te un giorno saranno famosi
Tutti e nessuno. Più che di vini che diventeranno famosi parlerei di cicli temporali di zone di produzione. A seconda di vari fattori, come ad esempio domanda/offerta, piuttosto che di grande annata, le zone vitivinicole più vocate nel mondo subiscono periodi in cui sono più sotto ai riflettori rispetto ad altre. Negli ultimi due anni abbiamo assistito per esempio al fenomeno di Bolgheri, con un grande ritorno dopo qualche anno forse un po’ sotto alle aspettative, piuttosto che al ritorno negli ultimi anni di Bordeaux, che dopo l’uscita delle annate 2009 e 2010, aveva assistito ad un crollo dei mercati notevole. A proposito di questa analisi, mi auguro che nei prossimi anni esploda il mercato della Valle del Rodano, stanno facendo prodotti incredibili da decenni, ma non è mai riuscita ad imporsi come Borgogna e Bordeaux.
Quali sono le regole di Alex Bartoli per creare una carta dei vini? Da dove si parte e quando puoi ritenerti soddisfatto?
Prima di tutto bisogna avere conoscenza dei prodotti che poi si andranno a proporre alla clientela. Questo aiuta notevolmente l’acquisto e la vendita, sapendo raccontare il vino e di conseguenza andando a “giustificare” il prezzo del vino stesso. La selezione deve essere fatta rispettando i budget imposti dalla proprietà e cercando di capire quale tipologia di clientela si ha di fronte ad ogni servizio e soprattutto quali sono le richieste, quindi cercare di soddisfare la regola della domanda/offerta. Un’altra regola per me fondamentale è quella del “poco di tutto”, cioè poche bottiglie dello stesso vino, ma tante referenze, in modo da non “ingessare” la cantina con decine di bottiglie dello stesso tipo e offrendo così alla clientela un’ampia scelta di annate e di referenze. Ultimo aspetto, da non sottovalutare, è quello di rimanere aggiornati costantemente, in modo da proporre alla clientela vini che magari altri ristoranti non hanno. Tutto questo, ovviamente, deve essere fatto tenendo conto anche del tipo di cucina offerta dal locale e dell’impronta che il sommelier vuole dare. La soddisfazione più grande è quando un cliente ti dice:”ho visto qualche bottiglia di questo vino/produttore, che è un sacco di tempo che non bevo e non vedo nelle altre carte dei vini della città”. È proprio quello il momento in cui ti rendi conto che il lavoro di selezione e impostazione della carta dei vini è stato apprezzato.
Raccontaci qualcosa di simpatico che ti è capitato durante un servizio, qualcosa di piccante o imbarazzante.
Una delle scene che non mi scorderò mai, è stata quella in cui una sera a cena, un signore fece la proposta di matrimonio alla sua compagna. In una sala con altri tavoli, che ovviamente stavano guardando la scena, la ragazza rispose di no alla proposta. Litigarono, di fronte all’imbarazzo delle altre persone presenti in sala, e lui era talmente arrabbiato che andò via subito dal ristorante senza pagare il conto. La ragazza, rimase sola e si trovò da pagare anche il conto della cena!
Il ristorante che più ti ha colpito fino ad oggi come cliente.
Il tristellato El Celler de Can Roca a Girona, in Spagna. La prima volta che andai come cliente fu nel 2014. Rimasi talmente colpito che l’anno dopo, nel 2015, prenotai per due volte di fila, una sera a cena e poi il giorno dopo a pranzo. Avevano due menu degustazione di circa 20 portate ciascuno e volevo assaggiarli entrambi. Qualità della cucina, del servizio, della cantina e dell’accoglienza costante in tutto e per tutto, veramente un ristorante completo. La sera della cena, dopo aver pagato il conto, mi salutarono e dissero che mi aspettavano per il giorno seguente a pranzo. A quel punto dissi di avere il volo per l’Italia dall’aeroporto di Girona alle 15.00 e loro aprivano per pranzo alle 12.30. Considerato che l’aeroporto dista circa 15 minuti in auto dal ristorante e che devi fare il check-in almeno 45 minuti prima del volo, non avrei mai fatto in tempo. Chiesi di fare un menu degustazione con meno portate, ma loro mi dissero che mi aspettavano per le 11.30, il ristorante avrebbe aperto per me un’ora prima. Fu proprio quel momento a farmi capire cosa volesse dire essere un grande ristorante e mettere il cliente sempre al centro del tuo lavoro quotidiano.
Cos’è per te il successo personale?
Per me il successo personale è essere contenti di quello che si fa quotidianamente con le persone che ti stanno accanto. Quando ti svegli la mattina e sei contento di quello che andrai a fare durante la giornata, per me hai già raggiunto il successo. Credo che la chiave del successo sia questa, tutto il resto viene poi di conseguenza, a volte in maniera più facile, altre volte meno.
Un’altra domanda che faccio a tutti: Il futuro di Alex Bartoli?
A questa domanda non posso rispondere adesso. Aggiorniamoci tra qualche mese!