Di Vite, di Vino, di Cina
La Cina. Con le sue dimensioni che la vogliono più simile ad un continente che ad uno Stato, e la sua antica civiltà, è anche uno dei Paesi dalla lunga tradizione vinicola, sia da vitigni indigeni che da varietà euroasiatiche.
Delle oltre 80 specie di Vitis presenti al mondo, 42 sono di origine cinese, localmente chiamate “viti di montagna” o “viti selvatiche”, secondo quanto stabilito nel disciplinare del dipartimento di Stato dell’Industria leggera.
Se a ciò si aggiunge il ritrovamento di fossili che dimostrano la presenza della vite nella provincia dello Shandong già 26 milioni di anni fa, appare chiaro come la Cina possa essere annoverata tra i Paesi di antica tradizione enoica. Tuttavia, è innegabile che la coltivazione della vite e la produzione di vino siano letteralmente scomparsi in alcuni periodi della storia cinese; ed è questa la ragione per cui oggi la Cina è ritenuta una realtà emergente nel panorama vitivinicolo mondiale.
Ora cercheremo di capire come sono andate le cose, con la consapevolezza che l’origine e la storia della “cultura del vino” in Cina presentino ancora oggi enigmi e lati oscuri.
Innanzitutto una precisazione sull’uso del termine “vino” nella cultura cinese.
In lingua cinese infatti il carattere “jiu” 酒, rappresentante un fiasco con accanto delle gocce, viene impiegato per indicare qualsiasi bevanda alcolica, ed è l’ideogramma che lo precede a precisarne il significato. Sono quindi jiu:
i fermentati di cereali (grano, sorgo, miglio, orzo, riso)
qing jiu 清酒 (trasparente, vino): noto anche col nome giapponese di saké, le sue origini risalgono all’XI secolo a.C.
bai jiu白酒 (bianco, vino): liquore, in genere fermentato di sorgo, la cui paternità è attribuita alla dinastia Song (960-1278 d.C.)
huang jiu黄酒 (giallo, vino): fermentato di riso giallo, la cui presenza è attestata a partire dal 2000 a.C.
pi jiu 啤酒 (birra, vino): birra
i fermentati di frutta
putao jiu葡萄酒 (uva, vino): vino d’uva
hong putao jiu 红葡萄酒 (rosso, uva, vino): vino rosso
bai putao jiu白葡萄酒 (bianco, uva, vino): vino bianco
vini medicinali ed elisir: yao jiu 药酒
Le origini
Stando ai dati acquisiti dall’archeo-antropologo Patrick McGovern e riportati nel suo “L’archeologo e l’uva” (McGovern, 2003), la prima bevanda fermentata della Cina, almeno secondo le analisi archeologico-molecolari del suo laboratorio, proviene dall’attuale provincia dello Henan. Si legge testualmente che “… I vasi analizzati, destinati all’immagazzinamento, alla mescita e presumibilmente al consumo di una bevanda, risalgono all’incirca al 7000 a.C., quando cioè nel Vicino Oriente si condussero i primi esperimenti di vinificazione con conseguenze durature…. Inoltre, anche se il riso era l’ingrediente principale della bevanda cinese, le grandi quantità di acido tartarico o tartrato rilevate indicavano l’uva di vite come probabile ingrediente…. Più ci pensavo più mi sembrava sensato che un’antica bevanda cinese annoverasse l’uva di vite tra i suoi ingredienti. Prima che i cinesi sviluppassero il loro unico sistema di saccarificazione per spezzare i polisaccaridi, avrebbero dovuto trovare una fonte sicura di lievito per la fermentazione, e questa non poteva essere il riso. Le loro numerose specie di vite selvatica potrebbero avere avuto questo ruolo, e alcune sono abbastanza dolci da essere usate ancora oggi per produrre vino (ad es. la Vitis amurensis a nord e la Vitis quinquangularis Radh e la Vitis pentagona Diels a sud)”.
Secondo documenti cinesi, la produzione e la cultura delle bevande alcoliche nelle aree centro-meridionali dell’odierna provincia di Shanxi potrebbe risalire alla fine della dinastia Xia (2070 a.C.-1600 a.C.), e ShaoKang, uno degli imperatori, sarebbe considerato il primo enologo. La bevanda alcolica prodotta da ShaoKang era un fermentato di cereali e frutta, tra cui è plausibile che ci fosse l’uva essendo lo Shanxi una delle principali zone storiche di coltivazione dell’uva da vino in Cina. (The worlds of wine: Old,new and ancient – 2018)
Altre fonti, evidenziate in uno studio di P.A. Onnis (2005), individuano la presenza di una vinificazione nell’epoca delle dinastie ereditarie Shang e Zhou, che si sarebbero formate nel bacino del Fiume Giallo (attuali province di Shaanxi, Henan e Shandong), e succedutesi al governo della Cina tra il XVI e il III sec. a.C.
Nella più antica raccolta di poesie cinesi, lo Shijing o “Classico delle poesie” (XII-VII sec. a.C., successivamente revisionato e in parte redatto da Confucio), sono presenti ideogrammi che si riferiscono alla Vitis flexuosa e nei 305 poemi in cui è suddiviso, il termine “jiu” compare almeno 60 volte; mentre è nel Classico della farmacopea di Shennong (V-II sec. a.C.), che si trovano per la prima volta i caratteri “putao” 葡萄 riferiti alla Vitis vinifera. Qui non solo sono attribuite all’uva proprietà benefiche, ma è spiegato con dovizia di dettagli il suo impiego per la produzione di vino.
Il primo documento storico ufficiale che attesta la presenza del vino in Cina è il monumentale Shiji (“Memorie di uno storico”), in cui lo storico Sima Qian (circa 145-90 a.C.), riporta il resoconto di un viaggio compiuto nel 138 a.C. dal generale Zhang Qian nelle regioni nord-occidentali dell’impero, come emissario dell’imperatore Wu degli Han. Egli riferì che nelle vicinanze di Dawan, odierna provincia dello Xinjiang, oltre la Via della seta, “si produceva vino dall’uva e che le persone benestanti ne facevano abbondanti scorte. Gli abitanti di queste zone bevevano abitualmente il vino e i loro cavalli mangiavano il trifoglio. Dopo il suo ritorno l’Imperatore cominciò a piantare vigne e trifoglio con i semi che aveva ricevuto.” Nella fertile valle di Fergana, sul versante occidentale dei monti del Pamir, i membri più abbienti della società immagazzinavano il vino di vite per farlo invecchiare anche più di dieci anni. Secondo McGovern (2003) furono talee e non semi che Zhang riportò al palazzo imperiale, per di più non appartenenti ad alcuna specie estasiatica, come la Vitis amurensis che cresce lungo le sponde dell’Amur in Manciuria, ma alla specie eurasiatica Vitis vinifera. Da cui la deduzione che l’ovest abbia rappresentato il bacino viticolo di tutta la Cina dell’epoca. Inoltre antiche testimonianze riportano anche un’ampia descrizione della gestione e commercializzazione del vino a Tulufan (Xinjiang) dal IV all’VIII sec. d.C.
Nonostante il processo di vinificazione del vino d’uva fosse più semplice rispetto a quello del vino giallo, ottenuto cioè dalla fermentazione di cereali (il miglio prima e riso, grano, sorgo in un secondo momento), la stagionalità della raccolta dell’uva non ha consentito al vino di porsi al livello degli altri fermentati. Per un periodo di tempo di almeno quattro secoli il vino resta bevanda prediletta dalla corte e dai ceti più abbienti, è talvolta strumento di corruzione di alti funzionari, tangente per l’ottenimento di cariche imperiali, sorgente d’ispirazione per poeti, letterati e filosofi.
La diffusione del vino nelle regioni più interne del paese avviene in modo discontinuo ed è accettato che la coltivazione della vite si sia talvolta persino interrotta, a giudicare dal fatto che il vino veniva offerto come speciale tributo all’imperatore dalle regioni di frontiera.
Sotto la dinastia Tang (618-907) si dovette assistere all’introduzione di nuovi vitigni importati proprio dalle terre confinanti del nordovest, dove l’imperatore Tai “raccolse semi di uva Maru per essere coltivata nel giardino imperiale e produrre vino con tecniche apprese. Il vino era verde, di sapore fresco e forte, di gusto molto cremoso”, e alla diffusione della tecnologia enologica.
Il vino ispira le pagine dei grandi poeti dell’epoca.
Per Li He è “preziosa ambra che riempie la coppa di cristallo, rosse perle che gocciolano dal piccolo torchio”.
Il vino suggella amicizie, scandisce i commiati, consola gli animi soli:
“i calici dell’ostello sono freschi e verdi.
Andiamo, bevi ancora una coppa di vino ,
a ovest del passo non incontrerai altri vecchi amici.” (Wang Wei)
“Per celebrare questo involontario incontro, dice il mio ospite,
dobbiamo prosciugare dieci grandi coppe di vino;
ma oggi nemmeno dieci coppe possono darmi alla testa,
per come sono colpito dalla tua immutabile amicizia” (Du Fu)
“Tra i fiori un boccale di vino, io bevo solo; nessun amico è vicino.
Alzo la mia coppa e invito la luna lucente:
con lei e la mia ombra saremo in tre.
Ma la luna non sa nulla del bere
E la mia ombra solo scimmiotta le mie azioni”. (Li Bai)
E’ all’epoca successiva, durante il dominio dei Song (960-1278), che risalgono i primi documenti in cui sono chiaramente esposte le modalità per ottenere il vino dal mosto d’uva. Il vino, accanto ai tradizionali fermentati di cereali, diviene così patrimonio comune all’interno della Cina e ricorre sempre più assiduamente in poemi e liriche.
Festa di primavera!
Un bicchiere di vino verde, una canzone
e tre desideri… (Feng Yan-chi)
Sotto i Song l’economia cinese subisce un forte impulso: lungo la Via della Seta sono esportati tè, tessuti e spezie, e importati giada, vino e profumi.
Tuttavia è in questo periodo che tribù nomadi settentrionali causano dapprima disordini, poi vere e proprie guerre di frontiera; tra le conseguenze, viene meno la disponibilità di uva e si assiste al temporaneo declino della cultura del vino.
Cultura che rifiorisce con l’intensificarsi della produzione di vino sotto l’influenza dell’impero mongolo degli Yuan (1271-1638), complice una minor tassazione del vino da uva (3.3%) rispetto al vino da cereali (6%), con due importanti aree di produzione nella baia di Tulufan e nella zona di Tayuan (Shaanxi).
Non solo i banchetti imperiali sono sempre accompagnati da vino, come testimonia il vasellame adibito a conservazione e degustazione del vino rinvenuto in diverse località, ma su ordine degli imperatori stessi il vino viene utilizzato nel tempio e per i riti più importanti.
Si piantano vigneti a Nanjing e nella provincia del Gansu e viene costruita una cantina nel palazzo imperiale. Si comincia inoltre a distillare vino per produrre brandy.
Esistono a quell’epoca all’incirca 5 vitigni e si sa che alla fermentazione naturale se ne affiancava una ottenuta con l’aggiunta di qu 曲 (lieviti), già impiegati per la produzione di vino giallo.
Piuttosto curioso il sistema adottato per distinguere i vini prodotti ogni anno. Si portava un certo numero di campioni in cima alla montagna di Taihang. I vini che non andavano incontro a congelamento grazie al contenuto alcolico elevato erano considerati di buona qualità; viceversa, in caso di congelamento venivano ritenuti vini di poco conto.
E’ l’epoca in cui Marco Polo è al servizio del Gran Khan. Nonostante nel suo Milione si legga al capitolo LXXXV che “… la maggior parte del Catai beono uno cotale vino com’io vi conterò. Egli fanno una posgione di riso e con molte buone spezie e concianle in tale maniera ch’egli è meglio da bere che nullo altro vino: egli è chiaro e bello e inebria più tosto ch’altro vino, percioch’ è molto caldo”, tuttavia in altre parti si evidenzia che, cavalcando per la provincia del Catai, “si trovano belle cittadi e belle castella di mercatanzie e d’arti, e belle vigne e albori assai…”.
Il periodo Ming (1368-1644) vede l’ingresso in Cina dei missionari gesuiti al seguito di Padre Matteo Ricci (in cinese Li Madou), i quali non sembrano apprezzare il vino prodotto dai vitigni autoctoni e per le funzioni liturgiche preferiscono importarlo dall’Europa attraverso la colonia di Macao, dove Matteo Ricci aveva soggiornato per tre anni a partire dal 1582, prima di stabilirsi a Nanchang e poi definitivamente a Pechino.
Il problema è risolto da padre Giulio Aleni il quale, con l’aiuto del governatore della provincia dello Shanxi convertitosi al cattolicesimo, riesce a produrre un buon vino dall’impiego di uva locale.
Poco più tardi Xu Guangqi (1562-1633), discepolo di Matteo Ricci, redige il Trattato completo di agricoltura (Nongzheng quanshu), in cui presenta i vari sistemi di colture e le tecniche agricole sino allora conosciute.
Egli elenca le varietà d’uva presenti in Cina : – uva cristallina con un’aureola biancastra, soffice, larga e lunga, dal gusto dolce; uva mammola di colore nero, piccola o grande e dal sapore agrodolce; uva verde, originaria del Sichuan, che raggiunge un colore verde quando matura e assomiglia all’uva verde dell’occidente, viene chiamata anche Occhi di lepre, è priva di semi ed ha un gusto più dolce del miele; uva piccola, introdotta dall’occidente e piccola come il pepe; uva dello Yunnan che ha gli acini grandi come datteri e un sapore straordinario.-
Secondo Emerson (2011, The History of Wine in Africa and Asia) durante questo periodo il vino diventa via via sempre più difficile da rintracciare e non c’è una vera salvaguardia della viticoltura locale.
A causa del declino economico, della produzione ormai perfezionata di un alcolico alternativo più potente (il “baijiu”, grappa di sorgo), unitamente alla complessità della coltivazione dell’uva e della conservazione del vino, quest’ultimo perde gradualmente competitività nei confronti delle altre bevande alcoliche.
Segue un periodo di transizione di oltre due secoli, nel quale la produzione vitivinicola è sostanzialmente a carattere familiare.
La nascita delle moderna viticoltura cinese può essere fatta risalire agli ultimi anni della dinastia mancese dei Qing (1644-1911), e precisamente il 1892, allorchè il cinese d’oltremare Zhang Bishi pone le basi della moderna vitienologia cinese.
Si narra che nel 1871, dopo un incontro con alcuni francesi a Giacarta, rimase impressionato dalla bontà del loro vino. La scintilla scattò quando seppe che alcuni soldati francesi avevano iniziato una soddisfacente produzione di vino con viti cinesi a Yantai, nello Shandong.
Tornato in patria si reca a Yantai e, reputato il luogo idoneo alla coltivazione della vite, acquista 1000 mu di terreno (1 mu = 0.06 ha) e introduce dall’occidente diverse decine di nuove cultivar di vite, nuove tecniche di vinificazione, macchinari e fusti di legno per la conservazione del vino. Chiama la sua cantina Zhangyu (o Changyu, secondo il sistema di trascrizione utilizzato, dove Zhang è il suo cognome, yu fa parte di un’espressione cinese che tradotta sta per “ricco e prosperoso”), e nel 1914 i suoi vini (tra cui un Gewürztramminer) conquistano il primo premio nella manifestazione organizzata da Nanjing in collaborazione con l’ufficio per il commercio di Shanghai. Gli stessi prodotti ottengono il primo riconoscimento a livello mondiale l’anno seguente durante la Mostra Internazionale delle Nazioni.
L’attività e le conoscenze di Zhang Bishi sono di stimolo per altre realtà vitivinicole del paese localizzate a Qingdao (Shandong), Beijing, Qingxu (Shanxi) e Tonghua nella provincia di Jilin.